
Ipocrisia della politica, crudeltà della burocrazia
Il quinto referendum del 8 giugno, quello dedicato alla cittadinanza degli immigrati, ha mostrato come anche tra chi ha partecipato al voto (si immagina di sinistra, la destra si asteneva) circola una sostanza che sta tra l’ignoranza della realtà, la paura agitata per propaganda e una ingenerosità verso chi invece merita diritti e doveri come chi è nato in Italia con la pelle bianca: uno su quattro dei votanti a barrato il no.
La consultazione è nata da una mobilitazione popolare che ha raccolto 630mila adesioni e aveva l’obiettivo di modificare la legge vigente, ovvero consentire agli stranieri provenienti da Paesi extra UE di presentare richiesta di cittadinanza dopo cinque anni di permanenza regolare in Italia, invece degli attuali dieci. In sostanza, il referendum puntava ad un risultato già serenamente vigente in molti paesi della UE e del mondo.
Qui sorvoliamo sulle ragioni per le quali i migranti vengono nei paesi occidentali e ancor più sulle responsabilità di questi ultimi sulle condizioni dei Paesi di origine e provenienza degli immigrati stessi; sorvoliamo anche sulle buone ragioni che noi avremmo per considerazioni pratiche oltre che etiche ad applicare una sana gestione dell’introduzione di lavoratori stranieri.
Alle tante espressioni ipocrite e false della politica, e al sorriso beffardo della Presidente del Consiglio che ha pubblicato sui suoi social dopo aver ricevuto l’esito dei referendum, dedico il breve racconto che qui segue, a urne chiuse sul verdetto che lascia le cose come stanno… ecco me stanno.

Si chiama Pamela Malvina Noutcho Sawa e poco tempo fa, dopo 20 anni di tribolazioni (20!), è finalmente divenuta cittadina italiana.
Oggi ha 32 anni, è arrivata in Italia dal Camerun quando ne aveva 8 nel 2001, per ricongiungimento familiare con il padre già in Italia da tempo ma che a tutt’oggi non ha ancora ottenuto la cittadinanza.
Pamela ha prima vissuto a Perugia con la famiglia, poi si è trasferita a Bologna dove si è laureata alla facoltà di infermieristica. Da questo un lavoro vero e pubblico all’ospedale Maggiore dove si è distinta per le sue qualità.
A Bologna ha scoperto la boxe dove in breve spicca anche sul ring, arrivando nel 2021 a vincere i Campionati Italiani dei pesi leggeri, ma non avendo la cittadinanza in Nazionale è entrata la ragazza che Pamela ha battuto. «Ma non è solo questo – dichiara Pamela – quando ho cominciato a lavorare come infermiera, prima a Sassuolo e poi al Maggiore, sono andata in banca per comprare casa e mi hanno detto che per politica non facevano mutui a chi non ha la cittadinanza, anche se lavoravo nel pubblico. Sono rimasta sconvolta, quel giorno sono arrivata in palestra piangendo, mi sembrava una cosa assurda, anche perché nel frattempo le tasse, il bollo o i contributi te li chiedono uguale. Ma c’è di più, perché non avere la cittadinanza significa avere difficoltà anche ad andare in gita scolastica, devi portarti dietro tutti i documenti del Paese d’origine e magari fare una fila separata in aeroporto rispetto ai tuoi compagni di classe, oppure affrontare trafile per qualsiasi cosa. Ti fa sempre sentire esclusa, come se tu non fossi un cittadino normale».
Anche quando c’è una buona integrazione sociale e, soprattutto, una meritoria attività professionale e sportiva, l’ostilità ‘politica’ e burocratica si percepisce quotidianamente e certo non aiuta nessuno. Basti pensare che a Pamela, come detto, venuta in Italia a 8 anni d’età, tra le tante richieste formali assurde, è stato preteso anche il certificato penale del paese d’origine.
Il risultato è che i famosi 10 anni per ottenere la cittadinanza, anche in questo caso esemplare per positività, ne sono serviti esattamente il doppio.
Ma, nonostante un percorso a ostacoli davvero scoraggiante, Pamela Malvina Noutcho Sawa non si è mai persa d’animo: «Il mio allenatore dice sempre che la mia qualità è salire sul ring e non mollare finché non ho finito, a prescindere da quanto sia stanca. Per me è così che deve essere: qualunque cosa tu stia facendo nella vita la devi fare al meglio, perché non sai mai quali porte potrebbero aprirsi».
Oggi Pamela è orgogliosa di essere finalmente italiana.
Noi possiamo esserlo?