
Proteste studentesche? Non più come una volta
«Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita». La frase è l’incipit di Aden Arabia, romanzo di Paul Nizan, scrittore francese morto a 35 anni mentre combatteva contro i tedeschi all’inizio della seconda guerra mondiale.
Quelle parole di Nizan mi sono tornate in mente quando i media hanno dato rilievo alla pacifica contestazione di alcuni studenti che hanno fatto scena muta alle prove orali degli esami di maturità, pur essendo preparati. Sono stati ugualmente promossi perché portavano crediti sufficienti.
Hanno voluto protestare contro i metodi della Scuola affermando che i docenti «pensano solo ai voti, non capiscono le nostre difficoltà, ci spogliano della nostra dignità». Il ministro Valditara ha risposto che dal prossimo anno gli studenti che rifiuteranno l’orale verranno bocciati. Uomo di grande comprensione…
Con quella contestazione gli studenti hanno manifestato il loro disagio verso il mondo della Scuola e non solo. Si potrebbe aggiungere che anche tutto il corpo insegnante è spogliato da anni della propria dignità: mal pagato e scarsamente considerato dallo Stato e dai genitori degli allievi dai quali spesso ricevono offese e aggressioni.
Dal dopoguerra la Scuola italiana non è riuscita a percorrere la strada giusta verso gli sviluppi della società che l’allontanasse per sempre dal passato, cioè dalla riforma Gentile che Mussolini definì “la più fascista delle riforme”, durata fino al 1963. Quella successiva non subì molti cambiamenti e più tardi una serie di rattoppi.
Nel ’64 scoppiò la contestazione studentesca durata a lungo, con occupazioni dei licei e delle università con durissimi interventi della polizia. È ormai storica la battaglia di Valle Giulia del 1° marzo 1968 a Roma dove rimasero feriti 450 studenti e un centinaio di poliziotti. Da qui l’articolo sull’ Espresso di Pier Paolo Pasolini, dal titolo “Vi odio cari studenti”. Definiva questi, “figli della borghesia”, mentre i poliziotti, “figli del proletariato”.

I vari governi risposero agli studenti – incompresi anche dal Pci e dagli altri partiti di opposizione – con una continua repressione aggravando sempre di più il clima della contestazione. I risultati furono il sorgere di un’anarchia tra i contestatori che si trasformò in molte occasioni in rivolta e poi terrorismo.
Una vera riforma venne varata dal governo Prodi il 10 febbraio del 2000, attuata da Luigi Berlinguer, ministro della pubblica istruzione e lontano cugino del defunto segretario del PCI. Veniva dopo una legge del 1997, sempre dello stesso ministro, che modificava la disciplina degli esami di maturità aggiungendo la suddivisione dell’insegnamento in tre cicli.
Le intenzioni erano buone ma i regolamenti erano così macchinosi, da mettere in crisi il vecchio apparato burocratico del ministero e creare disorientamento tra i docenti. Tra l’altro venne eliminato il termine “esame di maturità”, sostituito da “esame di Stato”. Nel 2003 col governo Berlusconi la riforma Moratti abrogò molte norme creando ancora più confusione.
Oggi la Scuola naviga a vista, senza un piano preciso. I risultati si vedono dall’ignoranza di base che prevale tra i giovani: molti di essi subiscono l’analfabetismo di ritorno, cioè la perdita con il passare del tempo delle capacità di lettura e scrittura che avevano acquisite con l’istruzione.
Persino gli studenti dei licei passati all’università sono stati sottoposti a dei corsi di grammatica italiana e di scrittura. Ne sono stato testimone nel periodo in cui insegnavo “Comunicazione e giornalismo” all’università di Firenze: leggere i compiti scritti e correggerne gli errori grammaticali era diventato un arduo impegno. Ovviamente le eccezioni erano tante, grazie anche alla dedizione di insegnanti liceali.
Eppure, nonostante “questo disastro culturale”, molti diplomati e laureati oggi si trasferiscono all’estero ben accolti dai Paesi che li ospitano. Significa che i giovani italiani preparati hanno uno scarso futuro di lavoro in patria: vengono sfruttati, mal pagati; ai ricercatori universitari non vengono offerte possibilità di carriera perché le raccomandazioni contano più del merito. Contrariamente al passato i giovani hanno perso le speranze di un futuro migliore. E non è solo a causa della scuola, ma di governi che li hanno ignorati e li ignorano tuttora.
Ma com’era la scuola del dopoguerra? Seppur molto antiquata, riusciva a dare una seria preparazione di base e a trasmettere nelle classi superiori una cultura letteraria, storica e scientifica, ma che con le prime due si fermava a Manzoni, Foscolo, Carducci, Pascoli e alla Grande guerra. Quanto era accaduto dopo veniva affidato alla volontà di apprendere dei singoli. Ricordo che in quei tempi le biblioteche erano piene. E oggi?
Post Scriptum: Giuli Colpisce ancora
A proposito di cultura, la scorsa settimana avevo scritto un articolo dal titolo Attenti intellettuali. Giuli vi osserva. Non avevo sbagliato perché il Ministro della cultura lunedì ha colpito Ernesto Galli della Loggia, da anni importante editorialista del Corriere della Sera chela scorsa settimana aveva “osato” criticare, con dati precisi, l’operato del ministro, sottolineando il caos che regna nel suo ministero.
Apriti cielo! La risposta di Giuli è arrivata lunedì attraverso i social nella quale tra l’altro diceva in sintesi che il professor della Loggia ha un “incarico culturale stabilito dal mio predecessore”, Sangiuliano, e quindi dopo quelle critiche deve dimettersi. “Un atteggiamento davvero liberale”, ha commentato il Corriere con ironia.
Seguono poi le falsità e le offese: definisce l’editorialista un “perditempo”, un “cameriere”. Chiama “poltrona di lusso” l’incarico che Galli della Loggia aveva ricevuto da Sangiuliano, dicendo il falso perché quell’incarico non veniva retribuito. Lo ha precisato l’editorialista aggiungendo che gli era costato 250 Euro di taxi e che non ne aveva chiesto il rimborso affermando: «Ne ho fatto dono volentieri all’amministrazione del mio Paese».
Ecco a che punto siamo arrivati: un ministro che intende mettersi al posto del direttore del giornale censurandone un articolo. Cosa che accadeva ai tempi di Mussolini.
Sottolineo infine che Galli della Loggia non è un intellettuale di sinistra o di destra, ma uno scrittore e studioso che pensa con la propria mente.