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Gaza, la pace e i due volti della democrazia

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Per la tragedia di Gaza è stato raggiunto un accordo di pace, prima fase di quella pace completa promessa da Trump. Se tutto andrà a buon fine, il merito spetterà soltanto al presidente USA? Non certamente agli Stati europei che mai hanno agito per fermare quella strage. Al contrario la popolazione civile dell’Europa e di altre parti del mondo si è adoperata in massa in favore di Gaza e dei palestinesi.

Si è distinta soprattutto In Italia dove alcuni milioni di cittadini hanno manifestato per la pace. È una grande rivelazione: la democrazia sembra aver assunto una doppia identità, da un lato quella popolare e spontanea, alimentata dalla partecipazione diretta; dall’altro quella tradizionale, incardinata nei partiti, nelle istituzioni e nei meccanismi rappresentativi. Le manifestazioni per Gaza, esplose in diverse città italiane con grande partecipazione, hanno reso evidente questa frattura, rivelando anche un inatteso protagonismo della società civile rispetto al silenzio o all’ambiguità del sistema politico tradizionale.

Mentre il Parlamento e i principali partiti si sono mossi con cautela – spesso adottando un linguaggio diplomatico ed evitando di prendere posizione netta – almeno due milioni di cittadini hanno espresso pubblicamente la loro solidarietà al popolo palestinese. Lo hanno fatto in piazza, nei social network, attraverso assemblee, cortei, presidi, performance artistiche e azioni simboliche. Il messaggio era chiaro: una parte significativa del paese rifiuta l’indifferenza e chiede giustizia, pace e diritti umani, senza delegare. Ci sono state anche delle sporadiche violenze materiali provocate da giovani “guastatori” e anche assurde violenze verbali contro i pacifisti da parte di membri del governo sempre accompagnate dal vittimismo.

Questa mobilitazione mostra un volto della democrazia che vive fuori dalle sedi istituzionali. Non è una novità storica – l’Italia ha una lunga tradizione di movimenti popolari – ma oggi acquista nuovo significato per la distanza crescente tra cittadini e rappresentanti politici. La politica ufficiale appare spesso sorda, appiattita su equilibri internazionali, prudente fino all’inerzia. Al contrario, la democrazia popolare agisce per indignazione, empatia e senso di giustizia immediato.

Il successo delle manifestazioni non si misura solo nei numeri, ma nella capacità di rompere il silenzio mediatico, di influenzare l’opinione pubblica. È la conferma che il bisogno di partecipazione e di presa di parola non si è esaurito, ma ha solo cambiato forma e canali. La democrazia popolare è fluida, trasversale, spesso apartitica o critico-partitica, e si nutre di reti informali, iniziative spontanee.

Tuttavia, questa dinamica solleva domande cruciali: può una democrazia funzionare senza un dialogo reale tra questi due volti? Il rischio è che la distanza si trasformi in rottura, alimentando sfiducia e radicalizzazione. La politica tradizionale dovrebbe allora interrogarsi sul proprio ruolo: rimanere spettatrice o tornare ad ascoltare, accogliere, rappresentare realmente le istanze che emergono dal basso?

Le manifestazioni per Gaza hanno dimostrato che la voce del popolo è viva. Ora spetta alle istituzioni decidere se continuare a ignorarla o riscoprire il valore della partecipazione democratica nella sua forma più autentica. I partiti della sinistra che avrebbero potuto mettersi alla guida della protesta non lo hanno fatto, mentre ha agito la CGIL seppur in ritardo dichiarando lo sciopero generale.

Ma prima che quel sindacato si svegliasse, i portuali di Genova avevano già deciso di boicottare le navi che trasportavano merce da e per Israele, seguiti subito dopo da quelli di Livorno, Marsiglia, Barcellona e altri porti.

E oggi che il Partito Democratico avrebbe potuto aprire un confronto interno sulla differenza tra le manifestazioni civili con grande partecipazione di popolo e la scarsa presenza nella politica istituzionale, non lo ha fatto. Non è una novità: la sua direzione non si è ancora riunita per analizzare a fondo la sconfitta alle elezioni politiche del 2022.

E le sconfitte continuano con le regionali, prima le Marche e poi la Calabria con risultati ancora peggiori. È allarmante anche la scarsa partecipazione al voto soprattutto nella regione meridionale dove l’affluenza è stata appena poco più del 43%.

È possibile che in una delle regioni più arretrate d’Italia, dove domina la ndrangheta, dove lo Stato è quasi assente, la popolazione rimanga passiva? Italo Falcomatà (Reggio Calabria, 8 ottobre 1943 – Reggio Calabria, 11 dicembre 2001) è stato un politico e storico italiano. Proveniente dallo scomparso Partito comunista, dal 1993 al 2001 fu sindaco di Reggio Calabria, avviando una profonda fase di rinnovamento per la città e quel periodo fu definito “Primavera di Reggio”. Erano altri tempi.

Allora i candidati alle elezioni amministrative non venivano scelti dall’alto come merce di scambio tra gli alleati, ma almeno a sinistra si valutavano il loro valore e l’esperienza.

Alle battaglie ideologiche della scorsa settimana si è aggiunto l’assalto piratesco delle forze israeliane alla Global flottilla che tentava pacificamente di portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. I componenti delle barche sono stati trasferiti in Israele e trattati con metodi brutali prima di venire rilasciati. E gli è andata bene perché anni prima, nel 2010, l’esercito israeliano bloccò alcune navi turche che allora portavano aiuti a Gaza. Nell’assalto alla Navi Marmara i militari israeliani uccisero 10 civili turchi disarmati. L’episodio passò quasi inosservato nel mondo civile e la Corte internazionale non prese provvedimenti. Insomma agli israeliani si permetteva di fare quello che volevano, cosa che accade da anni.

Il sette di questo mese ricorreva l’anniversario della strage compiuta da Hamas, uno dei più feroci delitti contro l’umanità da non dimenticare. A Bologna i “giovani palestinesi d’Italia” e i giovani antagonisti, sono scesi in piazza inneggiando ad Hamas e alla resistenza palestinese.

Bisognerebbe spiegare a questi imbecilli che Hamas è solo un movimento di assassini che non hanno alcun interesse verso le sorti dei palestinesi. Bisognerebbe costringere quei manifestanti (forse prezzolati per creare disordine) ad assistere ai filmati su quanto fecero quei tagliagole che l’ottobre 2023 uccisero 1200 civili e ne rapirono circa duecentocinquanta. Forse cambierebbero parere.

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