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On the road nel Veneto dei capannoni vuoti

Tempo di lettura: 3 minuti

Le città di pianura è il secondo film del regista Francesco Sossai.

È una sorta di road movie con al centro due cinquantenni nullafacenti, che ricordano però di essere stati molto attivi negli anni Novanta, i loro anni d’oro. Vivono in Veneto una regione che ha subito molteplici trasformazioni e che, come dice un personaggio del film, sta per essere attraversata e rovinata dall’autostrada Lisbona-Treviso-Budapest.

I protagonisti sono Doriano, detto Dori, e Carlobianchi (tutto attaccato), sono amici di bevute girano con una vecchia Jaguar, frutto di alcuni affari illeciti quando erano operai nel distretto dell’occhiale.

Dopo la crisi del 2008, tutto è cambiato niente lavoro, niente affari, non è rimasto che girare per locali, sfondarsi di polenta e lumache e cercare sempre un posto in cui farsi l’ultimo bicchiere. Con loro vaghiamo tra Belluno, Treviso fino a Venezia, un paesaggio in cui la vita operosa dei capannoni è stata sostituita da locali che paiono quelli del Far west: musica, alcol, anime solitarie.

Un frame del film con i due protagonisti principali

Dori e Carlobianchi il giorno in cui li incontriamo si sono dati una missione: andare a prendere all’aeroporto il loro vecchio amico e collega Genio (Eugenio). L’amico rientra dall’Argentina perché il reato che ha commesso (rubare occhiali nella fabbrica in cui lavorava e rivenderli) è caduto in prescrizione. Si dice che Genio abbia nascosto un tesoretto.

Nei loro pellegrinaggi verso un aeroporto sbagliato i due si imbattono in Giulio, uno studente napoletano della facoltà di architettura veneziana. Riescono a coinvolgerlo nei loro vagabondaggi, a fargli apprezzare il vivere alla giornata, lui che è tutto compíto e organizzato, e a mostrargli un Veneto che non conosce. Carlo si muove solo seguendo indicazioni culturali e opere della storia dell’architettura, non bada al resto, i due amici ad alto tasso alcolico, invece, conoscono palmo a palmo il territorio e i loro percorsi sono definiti da bar e trattorie, luoghi di resistenza al nulla. Carlo, in compenso, mostrerà loro Il Memoriale Brion di Scarpa che gli amici ignoravano.

Il film ha il ritmo lento e girovago, dove la vita ha, stranamente, tempi non più ritmati dalle fabbriche. I protagonisti, veri nostalgici del passato, non si arrendono al nuovo che avanza e si sottraggono alla vita dettata dal cellulare e dai social. Disegnano i loro percorsi su foglietti e rifiutano di usare Google Maps.

Per Giulio, ventenne, diventano personaggi mitici, forse hanno capito tutto della vita. E di conoscere il segreto della vita sono convinti anche Dori e Carlobianchi solo che se ne dimenticano quando non sono sobri, cioè quasi sempre.

In compenso i due faranno vivere un’avventura picaresca al giovane Giulio, si pensi solo alla scena in cui i tre si fingono architetti ed entrano in una villa storica che si trova sul percorso della Lisbona-Treviso-Budapest, promettendo al nobile proprietario di salvarla. Il film dapprima sgangherato cresce pian piano e conquista lo spettatore.

Sergio Romano e Pierpaolo Capovilla sono perfetti nei ruoli di Carlobianchi e Doriano con le loro facce “non da cinema” (ma di teatro il primo, e di indie rock il secondo), mentre Filippo Scotti (Giulio) conferma una notevole capacità espressiva. C’è un po’ del Sorpasso di Risi in questo film e i due protagonisti sembrano a volte uscita da un film di Kaurismaki
Le città di pianura descrive un territorio piatto e senza attrattive dove nonostante gli stravolgimenti la vita continua e trova nuove forme. È un luogo di solito ignorato come in quel dipinto di scuola del Veronese su cui si sofferma Giulio in una scena. Si tratta di un capriccio, un luogo immaginario, in cui le montagne sono collegate direttamente alla laguna veneta, in mezzo non c’è nulla. In quel nulla che esiste si trovano Le città di pianura e forse quel segreto sulla vita che sfugge i protagonisti quando non son sobri.

Trailer ufficiale del film:
https://www.youtube.com/watch?v=mXgRHhBFHs8


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