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Shakespeare? “Il meno inglese dei poeti inglesi”

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Ricordo che alle prime letture di Shakespeare mi chiesi come mai il commediografo inglese conoscesse così bene l’Italia, pur non essendoci mai stato. Un quesito che si saranno posti chissà quanti altri lettori delle sue opere.

Lo chiesi a Elio Vittorini il quale mi rispose sorridendo con la battuta «bisognerebbe chiederlo a lui», ma poi mi spiegò seriamente che alla fine del ‘500 l’ambiente culturale inglese, compresa la regina Elisabetta Prima, conosceva e apprezzava il Rinascimento italiano. Negli anni successivi a quella spiegazione, i miei dubbi sulla genuinità delle opere shakespiriane erano aumentati, specialmente dopo aver visto nel 1967 il film La bisbetica domata (si svolgeva tra Verona e Padova) di Zeffirelli, che il regista aveva tratto nei particolari dalla commedia di Shakespeare.

Ritratto di Elisabetta I d’Inghilterra – Enciclopedia delle Donne

Più tardi appresi che alcuni studiosi sostenevano che William Shakespeare avesse avuto un ghost writer italiano, identificato in John Florio. Era una teoria affascinante, ma non generalmente accettata. John Florio (1553–1625) era un linguista, lessicografo e traduttore anglo-italiano nato a Londra, figlio di Michel Agnolo Florio, un esule italiano di religione ebraica – convertitosi al cattolicesimo e poi al protestantesimo – perseguitato dall’Inquisizione cattolica, stimato per la sua cultura e accolto a Corte come insegnante di lingua italiana. Il figlio John seguì le orme del padre, ottenendo anche lui la protezione della regina. Venne considerato un mediatore culturale fra l’Italia e l’Inghilterra, grazie anche al suo importante dizionario Italian-English del 1598.

I sostenitori della teoria “Florio-Shakespeare” suggeriscono che il drammaturgo e commediografo inglese non potesse avere un’istruzione tanto elevata da scrivere con la profondità culturale, filosofica e linguistica che si trova nelle sue opere. Shakespeare, si sostiene, era un attore di umili origini con una formazione scolastica limitata, mentre le opere attribuitegli mostrano una padronanza della letteratura classica, della filosofia italiana e francese, e persino della lingua italiana.

Florio, invece, era poliglotta, traduttore di Montaigne, frequentava ambienti colti e aristocratici, e avrebbe potuto conoscere bene l’opera teatrale italiana rinascimentale, che tanto influenzò la drammaturgia inglese. Alcuni studiosi notano similitudini tra le sue traduzioni e certe frasi delle opere shakespeariane. Ad esempio, alcune espressioni dei Saggi, Les Essais, di Montaigne, tradotti da Florio, sembrano riprese quasi alla lettera nel Re Lear. Inoltre, si sottolinea il tono e lo stile “italianeggiante” di molte commedie di Shakespeare, come Molto rumore per nulla, ambientata in Sicilia, Il mercante di Venezia, Otello, La Bisbetica domata.

Alcuni indizi biografici rafforzano l’ipotesi: Florio tra l’altro, fu precettore del Conte di Southampton, noto mecenate di Shakespeare. Si ipotizza che abbia usato il nome del drammaturgo come “facciata” per pubblicare le proprie opere teatrali, in un’epoca in cui scrivere per il teatro era considerato sconveniente per un uomo colto che per di più frequentava Casa reale.

Tuttavia, questa teoria è vista con scetticismo dalla maggior parte degli studiosi. Le prove fondamentali mancano: non ci sono documenti che colleghino direttamente Florio alla scrittura delle opere teatrali. Inoltre, Shakespeare fu riconosciuto come autore già in vita, con testimonianze coeve di attori e drammaturghi.

Ma l’ipotesi che John Florio possa essere stato lo scrittore fantasma di Shakespeare è intrigante e alimenta il dibattito sulla vera identità dell’autore più famoso della letteratura inglese. Pur non essendo provata ufficialmente (gli inglesi non lo ammetterebbero mai), questa teoria sottolinea l’importanza degli scambi culturali fra Italia e Inghilterra nel Rinascimento e invita a riconsiderare l’opera shakespeariana sotto una luce più cosmopolita.

Eppure il “giallo” su Shakespeare non è affatto risolto; oggi una buona parte degli interrogativi rimasti vengono affrontati dal pamphlet di Umberto Mojmir Jezek (*) dal titolo Chi ha scritto Shakespeare? appena uscito in seconda ristampa (Grausedizioni).

Jezek, come uno Sherlock Holmes della letteratura, analizza minuziosamente il “mistero”, affidandosi alle ricerche storiche, alle citazioni di studiosi, aiutato anche dall’ intelligenza artificiale. Cita per esempio il filosofo francese Edgar Morin che dice tra l’altro: «Molti sono stati gli interrogativi sull’identità di Shakespeare… il dubbio sulla paternità delle sue opere esisteva già a fine ‘500 con le accuse a Florio di essere un parvenu che nasconde il suo cuore di tigre nella pelle di un attore… c’è una penna italiana che si nasconde dietro le piume altrui». Lo scrittore Lamberto Tassinari che nel 2009 pubblicò il libro dal titolo John Florio: The man who was Shakespeare sosteneva con molti argomenti che l’italiano era il vero autore delle opere teatrali di Shakespeare. Se ne occupa anche Luis Borges affermando: «Non so perché ma sento sempre qualcosa di italiano intorno a Shakespeare… è il meno inglese dei poeti inglesi».

A prescindere dal “giallo” Florio-Shakespeare, il libro di Jezek mostra un’Inghilterra diversa da quella che conoscevamo dai libri di storia: il Regno di Elisabetta non era solo quello che sconfisse l’Invincible Armada spagnola, degli intrighi di corte, delle guerre di religione e delle teste mozzate, ma ebbe anche un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale. Shakespeare, Christopher Marlowe, Ben Jonson, Edmund Spencer, Francis Bacon sono alcuni degli scrittori e pensatori che vissero durante quel Regno.

(*) Umberto Mojmir Jezek, giornalista, illustratore, pittore, scultore e scrittore ha lavorato a Repubblica. Da più di 30 anni disegna i cuoricini che illustrano la rubrica di Natalia Aspesi sul Venerdì.

Articolo pubblicato anche su https://www.allonsanfan.it/

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