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Francia: la grandeur è in declino, ma i francesi non se ne accorgono

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A proposito della Francia. Le rivolte periodiche di questa grande nazione continuano a segnare il suo cammino verso una costante decadenza. Quando è cominciata questa marcia all’indietro? Se vogliamo porre una data, potrebbe essere il maggio del 1940 quando l’esercito considerato il più potente d’Europa, ma condotto da vecchi generali con la mentalità della Prima guerra mondiale, non fermò la blitzkrieg tedesca. Vi riuscì soltanto in un piccolo settore del fronte il giovane generale Charles De Gaulle che comandava una brigata di carri armati.

Eppure questo Paese “che ha vinto una guerra senza mai vincere una battaglia” – come confessò ad alcuni amici Winston Churchill alla fine del secondo conflitto mondiale – ha preteso gli onori della vittoria alla pari degli Stati Uniti e della Gran Bretagna in nome della grandeur, parola entrata nell’immaginario collettivo dei francesi a partire dalle guerre napoleoniche.  

Sempre in nome della grandeur ha continuato a ignorare che il mondo era cambiato, che il colonialismo era finito ma a continuare a difende il suo. In Indocina affrontò per anni la guerra dei “ribelli” di Ho Ci Min sino alla grande sconfitta di Dien Bien Fu dove i generali della grandeur non avevano capito niente della guerriglia. Nel 1955, con l’accordo di Ginevra, l’Indocina divenne indipendente, divisa in tre Stati, Il Vietnam, la Cambogia e il Laos.

E non lo capirono, governi, partiti di sinistra e militari, quando l’anno prima un’altra rivolta era scoppiata in Algeria dove la popolazione chiedeva l’indipendenza: scelsero la più feroce delle repressioni. In questa colonia che Parigi aveva promosso a territorio metropolitano, cioè una regione divisa in dipartimenti, come la madrepatria, vivevano due milioni e mezzo di francesi e dieci di algerini, ma i primi vi mantenevano il potere mentre gli altri erano considerati cittadini di seconda categoria. Per esempio alle elezioni vi poteva partecipare solo una parte. Questo conflitto trasformatosi in guerra tra l’esercito francese e le forze algerine del FLN, è durato sino al 1962 dopo due anni di trattative volute dal presidente della repubblica De Gaulle.

Un vecchio ma sempre interessante documentario sull’ Algeria trasmesso da poco dalla Rai, fu girato nei giorni successivi alla dichiarazione d’indipendenza della nuova nazione del Magreb. Il filmato che inizialmente riprende migliaia di francesi ammassati sulle banchine dei porti di Algeri e di Orano per rientrare in patria, è commentato da Henry Alleg, un giornalista francese nato e residente in Algeria, direttore dell’unico quotidiano locale che aveva criticato la repressione dell’esercito e dei parà comandati dal generale Massu. I flash back sugli anni della rivolta per l’indipendenza offrono immagini sulla crudeltà delle forze occupanti; descrivono le torture per costringere i prigionieri a parlare; le continue incursioni nella Casbah di Algeri e le rappresaglie in risposta agli attentati. Anche quel giornalista racconta che, seppur francese, venne arrestato dalla gendarmeria e consegnato ai parà che lo torturano per giorni interi.

Una volta liberato e malridotto, raccontò la sua tragedia a un giornale della madrepatria che la pubblicò con tutti i particolari. Il governo di centro sinistra della Quarta Repubblica non intervenne, le torture contro gli algerini continuarono. La maggioranza dei francesi non voleva rinunciare all’Algeria in nome della grandeur. Era gente di destra e di sinistra, anche socialista e comunista. I governi si successero in continuazione sino a quando nel maggio del 1958 le forze armate organizzarono un colpo di Stato con l’appoggio del presidente della repubblica Coty (quello dei profumi). La Francia divenne una repubblica presidenziale con una nuova legge elettorale maggioritaria e passò alla Quinta repubblica con a capo De Gaulle.

Fu lui che risolse il problema algerino con le lunghe trattative di Evian ostacolate nei due anni di colloqui dall’OAS, l’organizzazione segreta composta da generali e ufficiali delle forze armate ed esponenti di destra appartenenti ai “pieds noir”, così erano chiamati in madrepatria i francesi nati in Algeria. L’OAS organizzò anche un attentato a De Gaulle che fallì all’ultimo momento.

La nuova nazione del Magreb ebbe come primo presidente Ben Bella, un intellettuale algerino di cultura francese – perseguitato dalla polizia e arrestato    durante la repressione. Voleva che l’Algeria diventasse un Paese democratico, laico e che i nativi francesi non emigrassero in Francia. Infatti sarebbero stati utili per lo sviluppo moderno del Paese. Le cose non andarono così: dei francesi ne rimasero solo 30mila, in gran parte agricoltori e negozianti; la presidenza di Ben Bella fu breve perché i militari del FLN lo cacciarono e misero al suo posto il “generale” Bumedienne. La storia di questo Paese fece il suo percorso tra la ricchezza prodotta dai grandi giacimenti di petrolio, la dittatura e la vorace corruzione dei militari, le “rivolte del pane” degli Anni ottanta e la guerra civile provocata dai movimenti islamici oltranzisti.

In Francia erano rimasti molti algerini insieme a marocchini e tunisini, tutti emigrati dalle colonie. I loro nipoti sono i giovani che partendo dalla protesta per l’uccisione di Nahel hanno preso d’assalto Parigi, Lione, Marsiglia e tante altre città. Secondo molti commentatori la causa scatenante della rivolta è la punta dell’iceberg di un malessere più profondo derivante dall’emarginazione.

Eppure i vari governi hanno dato loro la cittadinanza e il lavoro, ma quello che i francesi non volevano più fare; hanno costruito quartieri moderni “firmati” da famosi architetti, ma nelle banlieues, lontane dalla Parigi della borghesia, della cultura, dei consumi, delle scuole d’élite. In quei quartieri c’erano ancor prima le casette dei proletari francesi, i vecchi negozi con le antiche usanze, con le sezioni del partito comunista che incanalavano le proteste operaie verso le elezioni. Oggi nelle nuove “unitè d’abiation” di quei quartieri dominano il malcontento dei giovani, le bande dei trafficanti di droga che vi dettano legge e, diciamolo pure, i costumi e le usanze dell’Islam.

Lo Stato ha manifestato anche un po’ di generosità nei confronti dei loro cittadini africani, permettendo a pochi di entrare nelle grandi università, di diventare, medici, professori, ingegneri ed altro. Ma la massa continua a essere relegata al di là del muro simbolico che la separa dalla Ville Lumière. La polizia usa metodi brutali verso i giovani magrebini che arrivano nel centro di Parigi, ubbidendo ancora alla circolare di Sarkozy quand’era ministro degli Interni che diceva “sono teppisti da ripulire con energia”. Poi Sarkozy è diventato presidente con i voti della maggioranza dei francesi. La strada è aperta alla estrema destra di Marie Le Pen che quasi certamente vincerà alle prossime elezioni.

Foto: La “Marianne”, rappresentazione allegorica della Repubblica Francese

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