L’Italia e l’autoritarismo degli stupidi
La sprezzante negazione al diritto di sciopero manifestata da Salvini, non è la solita sparata solitaria del ministro che cerca continuamente nuovi nemici per attirarsi consensi, ma un atteggiamento più grave condiviso da tutta la destra di questo governo. Le varie proposte che vorrebbero modificare in maniera confusa e in peggio la Costituzione, sono preoccupanti e potrebbero spingere l’Italia verso un regime ultraconservatore e autoritario simile alle “democrazie illiberali” di Ungheria e Polonia.
Non è detto che i colpi di Stato vengano sempre attuati con i carri armati, ma ci sono altri sistemi, più lenti, più persuasivi, più efficaci se l’opinione pubblica rimane indifferente, passiva, assente dalla politica e se l’opposizione non sa fare il mestiere che le spetta.
La frase di Salvini Con lo sciopero di venerdì gli operai vogliono farsi il week end lungo oltre ad essere sprezzante, offende i lavoratori che, com’è noto, hanno stipendi da fame, tra i peggiori di tutta l’Unione Europea.
Siamo arrivati al paradosso che il Garante degli scioperi ha definito irregolare l’agitazione di venerdì, riducendone i tempi a 4 ore, mentre non avrebbe violato le regole se lo sciopero fosse stato generale e non di categoria. Perché allora i sindacati non hanno indetto quello generale? La risposta è semplice: perché non hanno la forza di sostenerlo. Tra l’altro la CISL si è defilata.
Ma diciamo pure che la classe operaia è cambiata: le grandi industrie come la Fiat, la Falck, la Pirelli, le acciaierie, i grandi cantieri navali, che insieme raggruppavano milioni di lavoratori, si sono frammentate e si sono spostate all’estero. Inoltre sono cambiati i vertici del sindacato e non solo mancano i Di Vittorio e i Lama, ma anche i quadri intermedi che prima di emergere, dovevano fare un duro apprendistato nelle fabbriche. Oggi molti operai, privi di guida sindacale, votano per la Lega e Fratelli d’Italia, ieri preferivano i 5Stelle di Grillo.
Negli anni più recenti il sindacato è stato assente dal mondo del lavoro di tutte le categorie e soprattutto da quello giovanile. La quantità degli scioperi è in calo continuo da tempo, da quando l’Italia e la Gran Bretagna erano considerati i Paesi sindacalmente più battaglieri d’Europa. Quando Berlusconi tentò di cancellare l’articolo 18 sulla giusta causa, tre milioni di lavoratori si radunarono a Roma per protestare e il Cavaliere fece marcia indietro.
Poi quell’articolo lo cambiò il premier Matteo Renzi con l’appoggio del PD, di cui era anche segretario, e i sindacati non si mossero. Anche un suo ministro nel 2015 criticò uno sciopero dei trasporti e precettò i lavoratori. Ma in quel caso Renzi lo smentì affermando che anche lui criticava quella manifestazione sindacale ma che i lavoratori avevano tutti i diritti di scioperare nel rispetto della Costituzione.
Di fronte ai milioni di manifestanti dei tempi berlusconiani, alla manifestazione del PD in piazza del Popolo a Roma hanno partecipato 50 mila persone presente la Schlein con i suoi generici proclami moralisti e pacifisti. Ormai ci si accontenta di poco.
Nel frattempo il governo di destra in un anno ha occupato lo Stato e le sue istituzioni mettendo nei posti chiave le sue “pedine”, personaggi sconosciuti e spesso incapaci, dando anche largo spazio al nepotismo. Il presidente del Senato La Russa ha piazzato tre dei suoi figli, uno nel consiglio dello storico Piccolo Teatro di Milano. Siamo all’assurdo: in una istituzione innovativa e progressista, nata immediatamente dopo la Resistenza, viene introdotto un personaggio che proviene da una “cultura” di estrema destra.
La RAI è stata la prima “fortezza” occupata dall’autoritarismo degli stupidi sin dai primi giorni di governo, provocando l’uscita di personaggi che permettevano un alto share. Al loro posto è arrivata gente ignorante, rozza, che commette gaffe in continuazione. Le notizie dei radio e telegiornali vengono teleguidate dall’alto; le rassegne stampa danno la precedenza ai titoli dei giornaletti di regime come Il Giornale, Libero, Il Tempo. Va in testa il Corriere della Sera solo quando le sue pagine fanno da portavoce della Meloni e questo accade spesso.
Di fronte a questo preoccupante spettacolo che dura da più di un anno, l’opinione pubblica tace, ignora, non si informa, non legge, si trincera dietro i social che oggi hanno preso il posto delle feroci discussioni di una volta nei bar di periferia, nelle sezioni e nei circoli dei partiti, nei congressi. All’interno della base del PCI avvenivano dibattiti molto accesi che il partito non rendeva pubblici.
È memorabile un episodio di un congresso della Democrazia Cristiana, ripreso dalla RAI (e non censurato) quando un delegato salì sul palco, si avvicinò al segretario di allora, Amintore Fanfani, e gli tirò a lungo le orecchie. A quei tempi il 90 per cento degli italiani andava a votare mentre oggi lo fa un risicato 50.
Lo squallido show di Beppe Grillo allo spettacolo televisivo di Fabio Fazio mi ha fatto pensare a quando i 5 Stelle ottennero alle “politiche” il 33 per cento di voti regalati a quel movimento guidato dall’ex comico trasformatosi nella recente trasmissione televisiva in una specie di ridicolo Masaniello del XXI secolo.
Mi viene da citare una frase di Giacomo Leopardi – risale a due secoli fa nello Zibaldone – che dice: “Gli italiani sono dei cinici popolacci / Il tuono sociale di questa nazione non esiste. Ciascuno ha il suo”.
Era un’analisi lucida, ancora attuale pronunciata dal poeta quando il Risorgimento incominciava a nascere. “L’Italia è un Paese dove non si conversa o si discute pacatamente, ma si schernisce l’interlocutore; un Paese in cui non si gareggia per l’onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue”, conclude Leopardi.
E lo sciopero come è andato a finire? Il sindacato ha ridotto le ore (per non sottoporre i lavoratori a pene pecuniare) e ha vinto Salvini.
Copertina: Dallo sciopero del 17/11/2023 – Foto: La Repubblica TV