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La contestazione dei piccoli Robespierre

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A proposito delle manifestazioni studentesche di questo periodo, ricordo una vecchia intervista del 2000 allo storico e filosofo Eugenio Garin (1909-2004) letta sul Corriere della Sera.

A una domanda sui movimenti studenteschi degli Anni sessanta, il professore dopo qualche esitazione, ricordò che un giorno all’Università di Firenze, gli studenti lo circondarono e lo apostrofarono in modo pesante. Qualcuno addirittura gli sputò addosso.

Rimase molto colpito da quella incomprensibile aggressione a tal punto che decise di lasciare l’insegnamento e fece domanda di archivista presso l’università di Perugia. I suoi colleghi lo convinsero a rinunciare a quel progetto così umiliante offrendogli una cattedra presso la Normale di Pisa.

A quei tempi la “rivolta” degli studenti, sacrosanta contro una scuola ferma ancora alla riforma fascista, prese spesso una strada sbagliata piena di ideologie improvvisate che non permettevano alcuna dialettica o confronto. Venivano presi di mira anche docenti antifascisti (come lo era Garin) i partiti di sinistra e le istituzioni democratiche che consideravano “borghesi”.

Ricordo certi cortei durante i quali gridavano viva Lenin, viva Stalin, viva Mao Tse Tung, senza sapere neanche che cos’era accaduto nell’URSS con le “purghe” staliniste e nella Cina di Mao con la Rivoluzione culturale. Manifestavano un fanatismo dietro il quale si nascondeva un totale vuoto culturale e ideologico.

Oggi siamo tornati a quei tempi? Forse peggio, perché allora alla base di quelle proteste esisteva una società italiana progressista che appoggiava quel cambiamento preteso dalla classe operaia e dalla massa dei giovani. Inoltre i partiti politici erano molto presenti e facevano da intermediari tra i vari movimenti e le Istituzioni.

Di questi tempi invece il mondo politico che riflette una società malata, è allo sbaraglio. E in questo scenario sono ricomparsi i giovani e i ragazzini con le loro manifestazioni ancora più generiche dove domina l’assoluto manicheismo, oltre alla totale ignoranza della Storia. Si comportano come dei piccoli Robespierre che manderebbero alla ghigliottina tanti innocenti.

Pertanto accade che alle manifestazioni pro palestinesi nascono slogan assurdi, episodi di antiebraismo e, cosa più grave, viene impedito di parlare a chi la pensa diversamente da loro.

All’Università Federico II di Napoli un gruppo di studenti ha impedito al direttore di Repubblica, Fabrizio Molinari, di intervenire sul tema dell’attuale guerra in Medio Oriente. Il giornalista il giorno dopo con un editoriale intitolato “Le parole che non hanno voluto ascoltare”, ha spiegato il tema sul quale sarebbe intervenuto: il ruolo della cultura nel Mediterraneo conteso. Forse se lo avessero ascoltato, avrebbero imparato qualcosa.

Ci si mettono anche i professori come quelli dell’Università di Torino che hanno bloccato la collaborazione con gli atenei israeliani, cedendo a una forma mascherata di antisemitismo che non c’entra con la guerra.

Un episodio analogo avvenne, appena scoppiata la guerra in Ucraina, quando l’Università Bicocca di Milano fece sospendere allo scrittore Paolo Nori le lezioni su Dostoevskij – morto nel 1881 – “per evitare ogni polemica”. Con chi? Col diavolo?

Sono tanti gli episodi di intolleranza che accompagnano le manifestazioni pro palestinesi: a Roma Liliana Segre è stata offesa da un giovane che urlava al megafono Dalla senatrice a vita un immortale vittimismo.

A Torino si sono saldate le manifestazioni per la Palestina e quelle delle ragazze contro gli abusi: le ragazze hanno accusato Chiara Saraceno, una antesignana del femminismo, di “far parte del sistema”. Ma da quelle voci non è uscita mai una parola di solidarietà verso le giovani israeliane rapite e stuprate dai banditi di Hamas.

Il colmo dell’imbecillità è stato raggiunto al liceo di Partinico, un tempo capitale della mafia. La maggioranza degli studenti si è opposta a intitolare la scuola al nome di Peppino Impastato. La motivazione? “Troppo divisivo”.

Impastato da ragazzo si ribellò al padre mafioso e questi lo cacciò di casa. Lui più tardi attraverso una radio privata continuò ad attaccare i mafiosi, soprattutto il boss Tano Badalamenti. Alla fine venne ucciso.

Vorrei chiedere a quegli studenti se prima di usare il termine “divisivo” ne abbiano controllato il vero significato. Hanno contestato Impastato forse perché divisivo tra persone per bene e mafiosi? Se fosse così sarebbe necessario che quella scuola si munisse di un numero maggiore di psicologi e di bravi insegnanti di Storia. Oppure che obbligasse gli allievi ad imparare a memoria Il giorno della civetta, romanzo di Leonardo Sciascia.

Copertina: Una manifestazione pro palestinesi (foto Università di Bologna)

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