Skip links

India democrazia a libertà limitata

Tempo di lettura: 4 minuti

Oh, le scimmiette? Sì in India tolleriamo tutti gli esseri viventi. Dopotutto, il nostro motto è Vasudaiva Kuthumbakham” (tutto il mondo è una famiglia), la giovane ragazza con cui stavo parlando mi aveva spiegato.

Mi trovavo nel cuore di quella che normalmente viene chiamata Lutyen’s Delhi, dal nome del principale architetto che presiedette alla costruzione della nuova capitale dell’Impero britannico quando questo decise nel 1911 di trasferirla da Calcutta, situata nel nord-est del Paese, a Delhi.

Avevo incontrato Meera solo pochi minuti prima, vicino alla ‘zona selfie’ situata di fronte al maestoso cancello dietro al quale si trova il nuovo Parlamento indiano. Nel 2019, all’inizio del suo secondo mandato, il premier Narendra Modi aveva annunciato la sua decisione di costruirlo ed è pronto in tempi record per le elezioni del 19 aprile – con 950 milioni di elettori – che termineranno il 1°giugno.

Meera, giovane e istruita, lavora per una finanziaria internazionale e stava tornando in ufficio dopo la pausa pranzo. Quel giorno, il nuovo Parlamento era circondato dalle pesanti transenne metalliche antisommossa giallo brillante, erette, così mi era stato detto da un militare in guardia, a difesa del nuovo edificio nel caso in cui, gli agricoltori che stavano protestando nuovamente alle porte di Delhi, fossero riusciti a entrare in città.

Meera mi aveva consigliato di stare attenta nel caso ci fossero stati dei disordini e si era premurata anche di farmi sapere che, comunque, quegli agricoltori che si stavano avviando verso la capitale, erano contadini ricchi e che la loro protesta non era affatto legittima, accusando i contadini di ospitare tra le proprie fila partiti politici opposti a Narendra Modi e al suo governo.

La strategia di Modi contro gli agricoltori

Mi aveva colpito come questa giovane donna avesse usato con disinvoltura il concetto di Vasudev Kuthumbakham e come avesse ripetuto quasi parola per parola la linea ‘ufficiale’ del governo Modi sugli agricoltori in marcia verso la capitale.

Sebbene Vasudev Kuthumbakham sia un concetto presente nelle sacre scritture indiane, il premier indiano lo aveva usato già alla sua prima apparizione alla Conferenza Generale delle Nazioni Unite nel 2014, pochi mesi dopo la sua storica vittoria. Più recentemente, ne aveva fatto il tema portante del summit del G20 che si era svolto a Delhi all’inizio di settembre 2023. Insieme al logo del G20, lo slogan campeggiava al centro di tutto il materiale pubblicitario distribuito ai delegati e alla stampa così come su tutti i poster e locandine che tappezzavano la capitale indiana.

E non avrebbe dovuto stupirmi neppure il commento sui ricchi agricoltori e il rischio di possibili disordini. D’altra parte, da giorni il governo e i media controllati dal governo, continuavano a presentare i contadini in marcia verso Delhi come se si trattasse di teppisti, o peggio ancora, di terroristi e non di legittimi manifestanti di un Paese democratico.

La risposta del governo a questa mobilitazione era stata infatti ferrea. Le autorità locali avevano eretto barricate di cemento, filo spinato e chiodi sulle arterie principali in entrata nella capitale. Per contenere la folla di circa 10 mila contadini, la polizia aveva sparato gas lacrimogeni, utilizzato manganelli, idranti e addirittura droni.

La manipolazione del consenso

Sono passati 4 anni dalla mia ultima visita in India. Era il 2020. Nel 2019, Modi aveva appena vinto il suo secondo mandato, sorpassando ancora una volta, tutte le aspettative. Già allora, erano visibili i tratti caratteristici del suo regime, primo fra tutti il constante dispiegamento di una massiccia campagna pubblicitaria e strategie di manipolazione del consenso contrassegnate dall’uso di slogan eclatanti e dall’impiego della propria immagine tanto da saturare la sfera pubblica indiana e creare uno stato di campagna elettorale permanente.

Ma il controllo del suo governo sui mezzi di informazione e sulle varie istituzioni non era ancora così serrato e spazi di dissenso esistevano ancora. Infatti, durante la mia ultima visita, la tenace ed estesa mobilitazione nazionale contro la legge sulla cittadinanza varata dal governo Modi poco tempo prima aveva tenuto in scacco il governo per diverse settimane.

Da lì a qualche mese, nell’autunno del 2020, i contadini avrebbero intrapreso una marcia su Delhi che si sarebbe trasformata nella più grande sfida democratica e pacifica all’autorità di Narendra Modi. Da allora, le cose sono cambiate. In peggio.

C’è stata a una graduale ma inesorabile erosione dell’indipendenza delle istituzioni a cui si è assistito negli ultimi anni. Le decisioni di governo sono sempre più concentrate nelle mani del premier, creando un clima politico che mina il principio di separazione dei poteri.

Per Freedom House, un’organizzazione non-governativa statunitense che misura l’incidenza di libertà civili e diritti politici nel mondo, l’India è ormai un Paese ‘parzialmente libero’. Altre indagini, hanno descritto l’India come una democrazia autoritaria o un’autocrazia elettorale, dove libere elezioni convivono a politiche volte a reprimere il dissenso e manipolare il consenso.

La manipolazione del consenso è particolarmente preoccupante. Modi è ovunque. Le immagini del primo ministro sono sulle pensiline delle fermate del bus, alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti, su poster lungo le strade cittadine pubblicizzando questo o quel programma di governo. Sono addirittura sulle confezioni di derrate alimentari e le bombole del gas che vengono distribuite alle famiglie povere per garantire che anche loro si ricordino di chi li ha aiutati (circa 800 milioni di persone ricevono questi aiuti).

Non solo, ma nel periodo da 2019-20 al 2023-24 il governo ha speso circa 100 milioni di Euro per comprare regolarmente spazi pubblicitari sui giornali in carta stampata. I quotidiani che dipendono in larga parte dai ricavi pubblicitari e che dunque non potrebbero sopravvivere altrimenti, sono diventati così organi di propaganda del governo e del partito.

Addio alla libertà di stampa

Lo stesso si può dire delle televisioni principali. Mukesh Ambani, uomo vicino al primo ministro e uno dei miliardari più ricchi dell’India e del mondo che è a capo di Reliance Industries, possiede 72 canali che sono seguiti da poco meno di un miliardo di indiani.

Non è dunque una sorpresa che in questo periodo sia anche diminuita la libertà di stampa ed è aumentata la repressione nei confronti di chiunque si opponga al governo. Giornalisti, attivisti critici del governo e politici dell’opposizione sono stati presi di mira in maniera dalla polizia e arrestati. Secondo dati forniti da Reporter Senza Frontiere l’India è precipitata al 150° posto su 180.
La breve conversazione con Meera non avrebbe dovuto sorprendermi anche perché, non solo Modi continua ad essere il leader più popolare al mondo con circa il 70% dei consensi popolari, ma secondo un recente articolo del The Economist, il consenso per Modi sale addirittura al 80% tra gli indiani con almeno un po’ di istruzione superiore.

Un dato questo che si discosta sostanzialmente da altri casi dove il sostegno ai populisti anti-establishment, come Trump, e a politiche come la Brexit tendono ad essere inversamente correlate con l’istruzione universitaria.

All’inaugurazione del nuovo Parlamento, Modi lo definì il tempio della democrazia indiana esaltandone la sua modernità e la rottura con il passato coloniale.

Allontanandomi in auto-risciò per tornare in albergo, gettai un’ultima occhiata al nuovo Parlamento. Circondato da possenti mura di arenaria rossa sormontate da spesso filo spinato e dal quale spuntano torrette di controllo, non ho potuto fare a meno di pensare ad un carcere di massima sicurezza non certo alla sede della democrazia.

Copertina: un comizio del premier Narendra Modi

Explore
Drag