Dal Brasile a Parigi due gialli per l’estate
Samir Machado de Machado, scrittore brasiliano, è nel suo Paese il traduttore di Agata Christie e di Conan Doyle. L’influenza di questi amati scrittori si sente nel suo Crimine del buon nazista. Un romanzo che riproduce il delitto a scatola chiusa.
Siamo nel 1933 e un gruppo di facoltosi tedeschi in gran parte nazisti sta volando su uno Zeppelin da Berlino a Rio de Janeiro. A bordo viene commesso un delitto e subito il comandante affida a Bruno Brückner, un esponente della Kriminalpolizei che si trova a bordo, la soluzione del mistero e l’individuazione dell’assassino.
L’uomo interroga i suoi compagni di viaggio alcuni dei quali avevano consumato la cena con la vittima. Sono: Karl Vöegler, un medico incaricato di divulgare teorie eugenetiche a un congresso a San Paolo; William Hay, un inglese un po’ dandy e provocatorio e la baronessa Van Hattem.
Ciascuno di loro potrebbe essere l’assassino dell’uomo, ebreo, omosessuale e comunista, trovato morto in un bagno. La vittima nella sua cabina aveva due passaporti, uno falso, ovvio, per apparire di razza ariana e nascondere la sua origine ebraica. Come non bastasse, si scopre che l’uomo era un fotografo di riviste destinate a un pubblico omosessuale e chiuse per indegnità dalle autorità tedesche.
La scrittura di Machado si legge con grande piacere, è scorrevole, arguta e curata. Durante le innocenti conversazioni a tavola tra i passeggeri si odono affermazioni come: «Bisogna sbiancare il sangue della nazione», parlando della popolazione brasiliana che per questo importava immigrati bianchi; oppure: «Solo gli artisti di razza pura possono creare un’arte sana», a proposito delle “degenerate” avanguardie artistiche.
Nel finale del libro la narrazione cambia di ritmo e stile, la prosa da scoppiettante si fa più piana, dal romanzo giallo si passa alla Storia e con un colpo di scena si trova la chiave del delitto.
Il secondo romanzo si chiama Fede, l’autore è Dror Mishani. Il suo Avraham Avraham, detto Avi, è un ispettore israeliano particolare, un po’ depresso e solitario anche se si è da poco sposato. È sempre alla ricerca di qualcosa e insoddisfatto delle risposte troppo semplici.
Questa volta lavora contemporaneamente su due casi: l’abbandono di una neonata in una borsa, vicino a un ospedale e la scomparsa di un turista francese o forse uomo d’affari o forse agente segreto a poche ore dal suo arrivo in Israele.
Entrambi i casi porteranno Avi a Parigi, la città del suo amato Maigret. L’autore è un appassionato di Simenon che ha letto quando, studente alla Sorbona, doveva migliorare il suo francese. La passione per il giallo è nata allora e lo ha portato a diventare docente di letteratura poliziesca all’università di Tel Aviv.
Inevitabilmente i suoi libri sono farciti di personaggi e citazioni letterarie e fotografano pezzi della società israeliana denunciandone le contraddizioni.
Tornando al romanzo, Avi è in crisi, stanco di essere in una cittadina, Holon, ad occuparsi di traffico di false pillole di viagra, di bambini lasciati sui seggiolini, occuparsi di casi in cui non si salvano vite, vorrebbe fare qualcosa di più eroico, combattere la violenza e il male.
In Fede si trova a che fare con una donna arrabbiata per la morte violenta, sul lavoro, del marito mai sufficientemente risarcita. Accusata di aver abbandonato la neonata, racconta una balla dietro l’altra alla poliziotta che la interroga.
Prima dice che la bambina è sua, poi della figlia sedicenne spedita a Parigi e frutto di stupro a opera di un ragazzo arabo. Violenta e razzista, la donna si sente abbandonata dallo Stato, dalla giustizia e trova conforto nell’ortodossia religiosa.
Il viaggio a Parigi dell’ispettore per interrogare la sedicenne e trovare ulteriori indizi sulla morte del turista francese. La sua stanza d’albergo era stata, subito dopo la scomparsa, visitata da presunti parenti che si sono appropriati del suo bagaglio e hanno lasciato della cocaina per indurre a credere fosse un trafficante e che la sua morte fosse un regolamento di conti. Un’immagine che viene smentita dalla figlia che, invece, sostiene che il padre fosse al servizio del Mossad.
Avi indaga da solo, senza il placet del suo superiore che anzi lo sollecita a chiudere il caso, entra in contatto con alcuni presunti esponenti del servizio che negano che l’uomo appartenesse al Mossad. Persino il marito della sua amata e da poco scomparsa collega, Ilana, entra in gioco a gamba tesa, lo consiglia di accettare una spiegazione semplice della morte dell’uomo, di non cercare complicazioni inutili e che l’ispettore intuisce potrebbero avere a che fare con segreti di Stato.
Ma Avi non desiste, come sempre, soprattutto quando scopre che l’appartamento parigino della vittima è stato anche visitato da strani ladri. Sarà un ispettore di provincia, ma stavolta ha a che fare col Mossad.