Placido e le parole
“Polvere/Cenere.”
Bisbigliò con le palpebre socchiuse, mentre stava con il capo indietro appoggiato sul bordo della poltrona quasi fosse in atteggiamento meditativo.
Fece dei sospiri.
Poi aggiunse:
“Un po’ troppo criptica come rima, no?!
Qui dobbiamo cambiare qualcosa.
Il concetto sarebbe anche bello…
Ma espresso così, a bruciapelo…
Ma si capirà?!
Arriva?!?”.
Ogni volta che c’era da scrivere una canzone a più mani, era sempre la stessa storia.
Placido, che era il nostro cantante (giuro non era un nome d’arte, si chiamava proprio così) non proponeva mai niente.
In compenso, scandagliava minuziosamente ogni parola che buttavamo giù noi… E gli volevamo bene per questo.
Perché erano sempre interventi di critica azzeccatissimi.
Per Placido le parole in un testo potevano sorprendere, incuriosire …ma con un disegno , con una precisa intenzione, salvo rarissime incredibili eccezioni.
E chiunque chiedesse a Placido quali fossero quelle eccezioni, lui rispondeva sempre con il solito immancabile aneddoto su Mogol:
“Avete presente la frase” non piangere salame dai capelli verde rame” in “eppure mi sono scordato di te” di Battisti?!
E’ incredibile quanto “verde” strida e sia incomprensibile in quella parte di testo.
Eppure, per assurdo, evoca nella mente un immagine pittorica dai colori sgargianti, assurdi.
E lì, un individuo sta piangendo.
Disperato e chiassoso come un fuoco d’artificio.
Ebbene… lo sapevate?
Mogol disse che in verità voleva scrivere “rosso”… e si accorse dell’errore molto tempo dopo.
Ma aveva sentito parlare così tanto di verde rame (fungicida utilizzato per i vitigni) a Silvano d’Orba dove trascorreva i weekend estivi con la famiglia, che quella parola era finita inconsciamente nel testo!
Senza intenzione e per pura casualità, quella parola sorprendente era nel posto giusto al momento giusto!”
In effetti, quella rima era buttata lì senza darle un contorno.
Ci voleva un’ intera strofa per quel concetto.
“E se facessimo una sorta di strofa dialogo?
Insomma, parliamola.
Con una voce narrante.”
Dissi io annaspando nei concetti in divenire.
A Placido venne il sorriso
Poi, con voce calma e riflessiva, improvvisò:
“Ci parlano spesso di Cenere e Polvere.
Dopo tutto, alla fine, ci pensano dissolti e dispersi dal vento.
E allora io preferisco esser cenere.
Venni sempre incendiato da ogni emozione.
Fino all’ultima particella.”
Quella volta, ho capito che Placido per dire veramente la sua in un pezzo, non doveva cantare.
Doveva uscire dalla musica.
Sorprenderti, per essere sicuro di essere ascoltato.
Perché parlava lui.
Lui lui.