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Antigone e l’egoismo sociale

Tempo di lettura: 3 minuti

Antigone è uno dei miti più amati. Incarna colei che si ribella alla tirannia e alle sue leggi ingiuste in nome del diritto umano pagando anche le conseguenze del suo gesto. A lei sono dedicate numerose associazioni e ad Antigone ci si rifà ogni volta che si vuole sottolineare un gesto di ribellione di una donna contro il potere maschile.

Eppure il mito di Antigone si scontra con il personaggio della tragedia di Sofocle, che ne è il suo inventore poiché prima di lui non vi è traccia della figlia di Edipo e Giocasta.
Questa Antigone è presa in esame da Eva Cantarella, grecista e docente di diritto romano e greco, nel suo Contro Antigone. O dell’egoismo sociale. La studiosa ne dà una lettura controcorrente, se si pensa al mito. Guarda all’opera anche con gli occhi della giurista.

Antigone è già segnata dalla tragedia del padre. Ha due fratelli che si scontrano per il regno di Tebe, una sorella che non considera e un fidanzato che non nomina. Cantarella, che confessa un’antipatia che risale ai tempi del liceo, la trova incapace di interessarsi agli altri, egocentrica e con un’unica ossessione: seppellire il fratello Polinice.

Quest’ultimo è morto in battaglia scontrandosi con il fratello Eteocle.
Polinice era un traditore che tentava l’assalto alla sua città (Tebe) con truppe radunate ad Argo, Eteocle era, invece un difensore della città.

Nello scontro entrambi i fratelli muoiono. Mentre Eteocle viene sepolto con onore, Polinice, in quanto traditore, non aveva diritto alla sepoltura. Senza sepoltura, per i greci, l’anima vagava e non poteva accedere all’Ade. Seppellire il fratello diventa il fine di Antigone.

La giovane per questo si scontra con Creonte, per altro suo zio e padre del suo fidanzato, con la legge, che lui rappresenta, e alla quale decide di non obbedire opponendo norme precedenti. Norme, che secondo le riletture attuali, sono quelle che garantivano i privilegi dell’aristocrazia in contrasto con le leggi frutto della democrazia. Creonte, difensore della legge, in un suo discorso cita Pericle e dimostra di essere un re giusto e di non fare favoritismi, tant’è che condanna la nipote ad essere sepolta viva.

In alcune interpretazioni si sostiene che Antigone difenda i valori della famiglia (Hegel) contro i valori dello Stato. Per Cantarella non è così: Antigone non difende i valori della famiglia, difende una sua ossessione. Infatti, ad un certo punto, la donna afferma che non avrebbe violato la legge per nessun altro, neanche per un marito (perché poteva avere figli da un altro uomo), neanche per un figlio (perché poteva farne un altro).

Qui Eva Cantarella scrive dell’eroina di Sofocle: «Vittima di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, così come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte, la morte per lei è un guadagno e persino la giustizia si trova nel regno dei morti».

Certamente il ritratto che se ne ricava è radicalmente opposto a quello del mito. Eppure, molti autori dell’800 e del ‘900 se ne sono innamorati e hanno esaltato la sua figura, tra loro Goethe, Shelly, Hegel fino a Wagner e D’Annunzio e persino Brecht che mette in scena un Creonte con una divisa che ricorda quella nazista.

Un tale ‘innamoramento’ giustifica le ben 1530 tra traduzioni, adattamenti e rivisitazioni dell’opera di Sofocle calcolate nel 1984 George Steiner, un numero che dimostra la capacità della tragedia greca di raccontare storie che vanno al di là del tempo e del luogo in cui sono nate. Storie che contengono una complessità che è allo stesso tempo una ricchezza di interpretazioni.
Nel testo di Cantarella, non per specialisti, ma per curiosi di capire, si analizzano le due Antigoni: quella socialmente egoista e quella del mito che continua a parlarci ed è il simbolo del coraggio e della difesa dei diritti.

Copertina: Antigone tenta la sepoltura di Polinice, opera del pittore francese Sebastièn Norblin (1825)

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