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Dorothea Lange: le suo foto documentarono la grande crisi

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Migrazioni, crisi climatica e discriminazioni sono al centro del lavoro della fotografa Dorothea Lange che possiamo ammirare al Museo Diocesano di Milano fino al 19 ottobre. Sono scatti degli anni ’30 e ‘40 del secolo scorso che riproducono temi di grande attualità e che testimoniano fenomeni spesso presentati dai politici e dai media come inediti e con difficili soluzioni, in realtà presenti da sempre nella storia dell’umanità. In particolare la mostra si concentra su due reportage della fotografa: il primo dedicato agli agricoltori americani impoveriti durante la grande crisi che migrano da uno stato all’altro, mentre il secondo riguarda i cittadini americani di origine giapponese chiusi in campi di detenzione dopo l’attacco di Pearl Harbour.

Lange nasce a Hoboken nel 1895, i genitori sono figli di immigrati tedeschi. È una giovane determinata e studia fotografia a New York, dapprima è ritrattista poi scopre la fotografia documentaria.

Trasferita a S. Francisco si fa notare per un reportage sui disoccupati e i senzatetto. Questo lavoro fa sì che tra gli anni Trenta e Quaranta, insieme ad altri fotografi, sia incaricata da un’agenzia del governo Usa, la Farm Security Administration, di seguire alcuni eventi decisivi per la storia del Paese.

Nasce così il suo reportage sulla grande siccità che colpì diversi stati tra il 1931 e il 1939. La prolungata mancanza di pioggia insieme a un susseguirsi di tempeste di sabbia avevano desertificato 4 milioni di km² di terreni agricoli e costretto migliaia di persone a mettersi in cammino verso altri stati dell’unione. Si trattò di una vasta migrazione interna, un vero e proprio esodo.

Dorothea nel 1935 ripercorre, con l’economista Paul S. Taylor che diverrà il suo secondo marito, le strade sulle quali transitano migliaia di famiglie ridotte in condizioni di estrema povertà. Gli scatti presenti nella mostra (140) spaziano dalla California, alle piantagioni di cotone del Sud, dove, tra l’altro, è più evidente la segregazione razziale. Lange raccoglie storie che riporta nelle dettagliate didascalie a corredo delle immagini. I suoi scatti contribuirono a ispirare Furore, romanzo di John Steinbeck.

È in California nel 1936 che realizza l’immagine simbolo del suo lavoro: Migrant Mother. Una madre di trentadue anni che sta sotto una tenda improvvisata con i suoi sette figli, tra loro un neonato che allatta, non ha più nulla, viene dalla comunità dei raccoglitori di piselli spazzata dalle condizioni climatiche.
Dorothea Lange è, come ha scritto John Szarkowski, una «Osservatrice sociale per scelta e artista per istinto». Grazie alle sue qualità di reporter e ritrattista ha potuto raccontare contesti complessi e drammatici e allo stesso tempo le condizioni delle persone incontrate. Dai suoi ritratti emerge anche il loro vissuto emotivo.

Mentre le singole immagini ci incantano per il loro tratto artistico oltre che per le storie, se si guarda al loro susseguirsi ci si accorge di come le scelte politiche e le condizioni ambientali possano incidere sulla vita dei singoli, travolgere le loro esistenze. E, nonostante siano passati molti decenni, non si resta indifferenti di fronte agli scatti della Lange perché interrogano anche il presente.

Il secondo reportage, come detto, riporta all’attenzione una pagina della storia statunitense poco edificante: i campi di detenzione aperti nel 1941, dopo l’attacco a Pearl Harbour, per custodire i cittadini di origine giapponese.

Lange lavorò su incarico del governo americano, con altri fotografi, tra loro Ansel Adams, nonostante si fosse espressa contro questa misura. I suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razzista (in mostra c’è la foto di una donna deportata visitata dal figlio militare vestito con la divisa dell’esercito americano; in altri scatti si vedono i negozi dei cittadini che stanno per essere deportati che recano grandi scritte come: «Sono americano»). Ovviamente questi provvedimenti hanno rovinato la vita di migliaia di persone del tutto inserite nella società, costringendole ad abbandonare case e lavoro, tutto solo per la loro origine. Possiamo concludere citando i curatori della mostra Walter Guadagnini e Monica Poggi: «L’importanza di Dorothea Lange è centrale nella storia della fotografia, anche per la sua capacità di raccontare la tragedia umana attraverso un raffinato senso estetico [..] Le sue immagini continuano a colpirci per la sensibilità con cui riesce a ritrarre esperienze individuali, elevandole a una lettura universale della condizione umana e della sua fragilità».

Un giovane Henry Fonda, protagonista del film Furore del 1940, tratto dal romanzo di Steinbeck
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