I.J.Singer inviato speciale nella Russia di Stalin
Tra la fine del 1926 e l’inizio del 1927 il quotidiano socialista USA in lingua yiddish Forverts chiede a Israel Joshua Singer di scrivere un reportage sulle comunità ebraiche in Russia, Bielorussia, Ucraina e Crimea. Sono passati cinque anni dalla fine dei pogrom (1918-1921) e quattro dalla fine della guerra civile.
Singer, ha il vantaggio di conoscere la lingua russa (aveva vissuto a Mosca e Kiev tra il 1918 e il 1921), quindi non necessita di interprete che faccia anche da mediatore. Inoltre, ha uno sguardo disincantato, da spirito libero.
Non esita di fronte all’impegnativo compito, si lancia nell’avventura, il suo è un lungo viaggio che tocca: Mosca, Minsk, Bobrujsk, Char’kov, Ekaterinoslav, Odessa, la Crimea, Kiev, Berdičev. Lo scrittore, qui in versione giornalistica, parla con tutti quelli che incontra e non disdegna alcun mezzo di trasporto: treno, carro dei contadini, automobile e nave.
Coi mezzi accennati raggiunge le colonie agricole ebraiche, scopre come ex cittadini, commercianti, artigiani e imprenditori se la cavano con la vita agraria.
Si interessa alle colonie comuniste, ed è incuriosito da quelle di pionieri che sognano la Palestina. Si meraviglia che i nuovi ebrei sovietici allevino maiali e che molti di loro ambiscano a un futuro operaio per i figli, dimenticando che, fino a poco tempo prima, erano disposti a tutto per dare loro un’istruzione superiore.
Visita villaggi prosperi e villaggi ridotti alla fame, non si fa scrupoli, con i suoi abiti ammirati da tutti, a dormire in topaie. Narra di come le città si stanno trasformando, di come i palazzi nobiliari possano diventare case di riposo per lavoratori.
Poi parla con la gente, con tutti: funzionari di partito, accattoni e compagni occasionali di viaggio. Incontra cittadini orgogliosi di essere operai, altri emarginati dalla perdita del loro ruolo e lavoro, incontra persone che confidano nella rivoluzione e, soprattutto, è colpito dai numerosi bambini che vivono per strada. Tutti raccontano, molti chiedono aiuto. Sono soprattutto i cittadini trasferiti in campagna, a chiedere alle agenzie ebraiche americane macchinari per rendere le nuove comunità agricole più efficienti.
Singer è curioso, senza pregiudizi, e il suo reportage non si limita alla situazione delle comunità ebraiche, il suo è un ritratto della Russia dei tempi dove nuovo e vecchio si mescolano come la bandiera rossa che svetta sul Cremlino accanto all’aquila imperiale.
La sua abilità di scrittore e il suo humor arricchiscono i racconti (come quello in cui teme di essere derubato degli abiti e lasciato nudo) e sottolineano aspetti di una realtà variegata e talvolta confusa.
Particolare è il capitolo dedicato a Santo Vladimir (Lenin, ndr) che prende il posto delle icone, le vecchie immagini sacre. «È ovunque, è in tutti gli uffici, in tutte le cooperative, in tutte le stazioni, in tutte le strade, in tutti i villaggi. È inciso nella pietra e nel marmo, è modellato con il bronzo, il gesso, il piombo, è disegnato sulla carta. È nei palazzi, nelle fabbriche delle grandi città, nelle case contadine dei villaggi, nella taiga siberiana e al mercato di Minsk, nelle tende di una tribù nomade e nella cooperativa dei macellai di Berdičev».
E, proprio come in passato, e ancora oggi, in un angolo della casa di ogni cristiano devoto c’è un’icona ornata di fiori e amuleti davanti alla quale brucia una fiammella eterna, e gli occhi dei credenti guardano quell’angolo «oggi in un angolo di ogni casa devotamente comunista c’è Lenin…». Da sottolineare, pensando all’attualità, i capitoli dedicati a Kiev e Odessa.
È il secondo viaggio di Singer nella Russia socialista: la trova molto cambiata rispetto al 1918-21 e, nonostante le sue simpatie, non in meglio. Quando attraversa il confine per rientrare in Polonia annota che la frontiera «non separa semplicemente due Paesi, ma due mondi».
Il libro è edito per la prima volta in Italia ottimamente tradotto da Marina Morpurgo, curato da Elisabetta Zevi e con una postfazione di Francesco Cataluccio.
Copertina: Il monumento ai lavoratori dei kolkoz a Mosca