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Il treno della speranza per tanti bambini

Tempo di lettura: 3 minuti

Il treno dei bambini è il titolo di un commovente libro di Viola Ardone e ora anche di un film che Cristina Comencini ne ha tratto per Netflix. La storia si basa su un fatto vero: 70mila bambini poverissimi dell’Italia del dopoguerra, dal 1946 vengono ospitati da famiglie dell’Emilia-Romagna, delle Marche, della Liguria e di Torino.

Erano bambini che vivevano nelle zone più colpite e in condizioni di fame e miseria estrema e che su treni organizzati dall’Udi (Unione donne italiane), donne militanti del Pci insieme a donne socialiste e del partito d’azione raggiungevano le famiglie che li avrebbero ospitati.

Nel film seguiamo la storia di Amerigo Speranza, un bambino di otto anni che abita in un basso di Napoli. Vive, in condizioni di totale povertà, con la madre Antonietta e si immagina che il padre stia in America e che un giorno tornerà da loro.

Amerigo non va a scuola, pratica l’arte di arrangiarsi e ha un’ossessione: osserva le scarpe delle persone, per lui sono la misura del benessere («Guardo le scarpe della gente. Scarpa sana: un punto; scarpa bucata: perdo un punto. Senza scarpe: zero punti. Scarpe nuove: stella premio. Io scarpe mie non ne ho avute mai, porto quelle degli altri e mi fanno sempre male») Le vorrebbe nuove anche lui, ma non si può, già è difficile procurarsi il cibo, figuriamoci comprare delle calzature.

Un giorno la madre viene a sapere dell’esistenza dei “treni della felicità”, come li aveva chiamati il sindaco di Modena, e, seppure con molte titubanze (sentiva ripetere dalle vicine: «i comunisti mangiano i bambini», «li manderanno in Russia da Stalin», ecc.), decide che Amerigo partirà, d’altra parte lei non ha nulla da offrigli. Il suo è, sicuramente, uno straziante gesto d’amore.

Amerigo, dotato di abiti e scarpe, arriva a Modena dove fa un gran freddo, è inverno e la neve pare ricotta. In stazione le famiglie affidatarie accolgono i bambini, li vestono, li sfamano, li mandano a scuola esattamente come i loro figli. Eppure, sono famiglie povere (contadine o operaie) ma che hanno a disposizione del cibo prodotto nelle campagne in cui vivono («Dove si mangia in due si mangia anche in tre») e sono capaci di una generosità non comune.

Amerigo viene assegnato a Derna una funzionaria del partito, ex partigiana. Da single, il suo compagno è stato ucciso dai fascisti, Derna si appoggia alla famiglia di suo fratello Alcide. Dopo un periodo di diffidenza, pensiamo che ai tempi ognuno parlava il proprio dialetto ed era difficile capirsi, pensiamo anche alla gelosia che i nuovi arrivati suscitavano nei figli naturali, subentra un sentimento di “appartenenza”.
In questo clima Amerigo scopre la passione per la musica, per il violino che Alcide, riparatore di strumenti musicali, gli costruisce. Va persino a lezione e scopre di avere un talento.

L’anno passato in Emilia cambierà la vita ad Amerigo che continuerà, seppure con gli ostacoli che gli pone la madre Antonietta, gelosa, a mantenere rapporti con la sua famiglia emiliana («ormai siamo spezzati in due»). Amerigo riprende la vita nel basso in cui viveva con la madre, («La vita è tornata normale, anche se niente è più come prima del treno».)

Diversamente da lui molti bambini, rimasti orfani durante la guerra, scelsero di proseguire a vivere con le famiglie affidatarie, altri tornarono diversi anni di seguito per completare il ciclo scolastico iniziato al nord.

Una curiosità: i bambini non venivano solo dal Sud, anche se da Napoli ne partirono 20 mila, il primo treno partì da Milano, dove mancava cibo e nell’approssimarsi dell’inverno molti piccoli non avrebbero trovato un riparo decente.

Il lavoro organizzativo delle volontarie dell’Udi richiedeva un grande impegno: trovare le famiglie, organizzare i treni, procurare abiti adatti ai bambini che ne erano privi e che spesso si recavano in luoghi con climi diversi, vaccinarli, spesso spidocchiarli, ecc. Inoltre, vista la propaganda contraria delle destre e di parte della Chiesa, occorreva creare le condizioni per cui la partenza fosse meno dolorosa trasformandola in una festa con musica e bandierine e prevedere anche una degna accoglienza.

I bambini, come detto, non andavano solo sfamati, ma a loro andava restituita in qualche modo la spensieratezza dell’infanzia rubata dalla guerra e dalla miseria e, soprattutto, andava garantito il diritto all’istruzione. I bambini erano tutti uguali, si aiutavano tutti, indipendentemente dal credo politico della famiglia.

Attraverso i treni dei bambini il Nord e il Sud d’Italia impararono a conoscersi, a mettere da parte i pregiudizi. L’esperienza di questi treni è stata eccezionale e, in anni segnati dall’individualismo, questa storia ci ricorda che il nostro Paese ha vissuto momenti di straordinaria unità e solidarietà.

Il treno dei bambini, il libro di Viola Ardone è edito da Einaudi, il film è visibile su Netflix. Va sottolineata la bravura degli attori scelti da Comencini, da Christina Cervone a Serena Rossi, Barbara Bianchi, Stefano Accorsi.

Trailer del film:
https://www.youtube.com/watch?v=h_Zo5ayxSd0

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