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La grande ambizione di Berlinguer

Tempo di lettura: 3 minuti

L’opera inizia con le immagini del colpo di stato in Cile, con il presidente Salvador Allende che si affaccia dal palazzo della Moneda, mentre si sentono i rumori dei bombardamenti.

Berlinguer. La grande ambizione di Andrea Segre è un film destinato a giovani che non hanno conosciuto Enrico Berlinguer. Mescola la finzione con materiale di repertorio, il leader più amato della sinistra (non a caso Giuseppe Bertolucci gli dedicò Berlinguer ti voglio bene con Benigni) nella pellicola affronta due questioni cruciali della sua vita politica: la rottura con l’Unione Sovietica, rivendicando la via democratica al socialismo, e il compromesso storico.

Proprio pensando all’esperienza cilena il segretario comunista comincia a teorizzare la via democratica al socialismo, vuole sottrarre l’Italia all’ingerenza statunitense e a quella sovietica.

L’ Enrico Berlinguer raccontato è quello degli anni che vanno dal 1973 al 1984, anno della morte. Non si tratta quindi di un biopic.

Quelli sono anni intensi, il Pci ottiene 12 milioni di voti e può ambire al governo del Paese; il suo segretario raccoglie la sfida e pensa a come tradurre il consenso elettorale in azione.

Berlinguer discute sempre: con la moglie e i figli (quattro), nelle sezioni di partito, quando incontra gli operai (allora tantissimi e organizzati) e con la gente. Sembra sempre arrovellarsi e chiedersi cosa fare per i lavoratori e per il Paese.

Quegli anni furono un periodo entusiasmante per il Partito comunista (aveva un milione e settecentomila iscritti e come detto 12 milioni di elettori) anche se non mancavano gli attentati come quello mostrato di Piazza della Loggia a Brescia, il terrorismo brigatista. Ogni speranza sembra, però, concludersi con il rapimento di Aldo Moro.

La grande ambizione è il compromesso storico, un compromesso con la Democrazia cristiana che avrebbe permesso anche al Partito comunista di partecipare al governo del Paese in maniera democratica e realizzare quel cambiamento auspicato dai lavoratori.

La proposta del compromesso genera discussioni infinite nel partito, nella sinistra e nel Paese, molte sono anche le proteste (si vede anche il figlio di Berlinguer partecipare a un corteo in cui si distribuiscono volantini contro la politica del padre).

Tormentato da dubbi, ansie, paure il Berlinguer restituito dal film è un uomo dalla schiena dritta, un uomo che tenta di tradurre gli ideali in realtà.

Segre, il regista, è riuscito a non cadere nell’agiografia e forse, grazie anche alla bravura di Germano, il segretario del più grande partito comunista europeo ci appare un uomo fragile e determinato allo stesso tempo, lontano dall’ambizione personale e votato semmai a quella collettiva.

Un frame del film con il protagonista visto di spalle

È convinto che senza la democrazia non può esserci il socialismo. Lo ha ribadito, unico dei segretari dell’eurocomunismo, anche al congresso del Pcus, ben ricostruito sul set, di fronte a Breznev. Stupendo tutti Berlinguer aveva rivendicato la libertà di stampa, di opinione e di religione e per questo non era stato applaudito quanto gli altri oratori.

Certamente siamo di fronte anche a un film didascalico e allo stesso tempo commovente che trova anche momenti poetici come quando in una festa popolare i lavoratori danzano sul far della sera.

I suoi funerali. Stupiscono ancor più oggi le scene con le registrazioni dei suoi funerali a cui parteciparono un milione e mezzo di persone. Nei picchetti d’onore accanto alla bara ci furono grandi artisti (Scola, Mastroianni, Vitti, ecc.), tra loro Fellini, il regista di cui stava parlando con un politico e l’interprete in auto a Sofia poco prima dell’attentato che lo ha coinvolto. Un attentato di cui Berlinguer non volle parlare a lungo.

Da ricordare che per questo ruolo Elio Germano è stato premiato alla Festa del cinema di Roma come miglior attore protagonista. L’attore si è calato con rispetto e attenzione nei panni del padre, del marito e del politico. La sua recitazione non contrasta affatto con i pezzi di repertorio, anzi li integra dando spessore all’uomo. Da sottolineare anche il montaggio di Jacopo Quadri.

E per concludere ecco la frase di Antonio Gramsci che apre il film e che il regista ha usato come filo rosso per la sua narrazione:
«Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo».

Trailer ufficiale del film: https://www.youtube.com/watch?v=kzkFdHkoJ44

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