La natura e l’acquerello, una mostra di Cristina Bracaloni
Si apre a Bolgheri dal 13 al 18 settembre la mostra Acquerelli naturali di Cristina Bracaloni. L’artista è nata a Livorno e vive a Milano. Ha sviluppato la passione per gli acquerelli una ventina di anni fa, autodidatta, nel 2003 entra nell’Associazione Italiana Acquerellisti (AIA) e ne diventa anche vicepresidente. Coordina anche l’European Confederation of Watercolour Societies (ECWS) e ha all’attivo una cinquantina di mostre.
Afferma di aver scelto la pittura ad acqua perché risponde meglio alla sua ricerca di immediatezza e spontaneità. E proprio alla spontaneità si richiama il titolo della mostra che ha per soggetto la natura, ma che vuole allo stesso tempo sottolineare l’elemento istintivo, genuino di questa tecnica pittorica.
L’acquerellista, da tempo, affronta nelle sue opere «il difficile rapporto tra l’uomo e la natura, l’aggressiva e incessante antropizzazione dell’ambiente». Le opere esposte: boschi, animali, mare e tutto ciò che di bello e armonioso ci circonda dovrebbero spingerci alla tutela dell’ambiente. Inoltre, sottolinea, che per lei «la natura è fonte di ispirazione continua anche nelle sue espressioni più semplici e apparentemente banali».
Lo è stata anche per le acquerelliste del passato e, a questo proposito, Cristina ci racconta cosa ha significato la pittura ad acqua per le donne dei secoli scorsi che volevano dipingere, di come questa tecnica fosse loro più accessibile perché, come spesso accadeva, erano prive di mezzi.
Le donne dipendevano, infatti, economicamente dal marito o dai maschi della famiglia di origine. Solo gli uomini gestivano il patrimonio, anche quello che le mogli avevano ereditato (in Italia fino al 1919 esisteva l’autorizzazione maritale per qualsiasi iniziativa la donna volesse intraprendere).
«Pulito, leggero e soprattutto economico, a differenza dell’olio o dell’affresco che richiedevano materiali costosi, l’acquerello è stato tradizionalmente insegnato e praticato in casa dalle giovani donne non professioniste. Gli artisti affermati, uomini, erano invece impegnati a mettersi alla prova nella pittura e nella scultura, i mezzi artistici più alti e più importanti secondo la gerarchia europea per eseguire gli interventi artistici ordinati dalla grande committenza». Le eccezioni sono poche e le artiste del passato hanno avuto padri dalla mente aperta come Sofonisba d’Anguissola o a loro volta artisti come Artemisia Gentileschi.
Inoltre, continua la nostra esperta: «L’acquerello veniva utilizzato dalle donne per sostenere attività tipicamente femminili quali il ricamo o la tessitura di materiali pregiati. Un esempio famoso è quello di Maria Sybilla Merian che, nella Germania e nell’Olanda del ‘600, produsse ad acquerello splendide tavole naturalistiche, i “Libri dei Fiori”, quali modelli per le ricamatrici e gli operatori della tessitura. Per eseguire queste tavole e trovare sempre nuovi soggetti le artiste, spesso anche scienziate, si spingevano con viaggi avventurosi in terre lontanissime, affrontando pericoli e condizioni proibitive».
Nell’800 l’acquerello, aggiunge, «entra a far parte della formazione delle giovani donne delle classi borghesi e aristocratiche soprattutto in Inghilterra, nel Nord Europa e negli Stati Uniti d’America. I soggetti erano spesso ambienti domestici, giardini, fiori e frutta, ma le scelte si spingevano anche a tematiche sociali e sposavano le cause delle rivendicazioni dei diritti delle donne di cui lentamente si stava prendendo coscienza. Esempi importanti di queste esperienze sono le opere delle americane Ellen Robbins, Elisabeth Heaply Murray, Fidelia Bridges e di molte altre. Nel ‘900 Margaret Mee ha rappresentato ad acquerello tematiche ambientali quali la conservazione di specie in via di estinzione».
La nostra conversazione con Cristina Bracaloni si chiude con l’interessante storia della già citata Maria Sibylla Merian. Era una acquerellista, nata a Francoforte nel 1647. divenuta famosa in tutta Europa per le sue tavole naturalistiche di piante ed insetti.
Non solo pittrice ma anche entomologa, Merian era capace con le sue immagini di fornire informazioni scientifiche. La sua fu una vita davvero avventurosa. Aveva imparato fin da piccola l’arte dell’incisione su rame in famiglia, sia i fratelli, sia il padre e il patrigno erano incisori e pittori. La sua specialità erano i fiori e gli insetti, ma la sua passione erano i bruchi che si trasformavano in farfalle.
Si sposò, ebbe due figlie e, separatasi dal marito, si stabilì in Olanda andando ad abitare in una comune di labadisti-pietisti, una setta religiosa che viveva in povertà e non faceva differenze tra uomini e donne. Unica nota negativa della vita nella setta: a Maria era vietato dipingere (attività considerata frivola) ma le fu permesso di studiare, di approfondire le conoscenze scientifiche e apprendere il latino.
Successivamente, la vita nella setta diventò insostenibile, la donna decise di spostarsi nel Suriname, allora una colonia olandese. Lì avrebbe potuto soddisfare la sua passione per le farfalle. Il viaggio non fu semplice (durò ben tre mesi!), soprattutto per una donna di 52 anni, un’età avanzata per l’epoca, e con una figlia a seguito. Nella colonia sudamericana, per fortuna, gli indigeni l’aiutarono nelle esplorazioni di foreste, conobbe così: piante, fiori, frutti, e insetti e animali del tutto nuovi.
Due anni dopo, per ragioni di salute, Merian tornò in Olanda su una nave che trasportava zucchero oltre ai suoi innumerevoli barattoli che contenevano farfalle, bruchi, serpenti e altri animali. Tutte le conoscenze e informazioni acquisite vennero raccolte nel libro Metamorfosi degli insetti del Suriname insieme a 60 tavole di incise su rame. Il libro bilingue, olandese e latino, ebbe successo e con le vendite, Merian recuperò persino i costi del viaggio.
Diventò famosa e anche lo zar Pietro il Grande si rivolse a lei per la sua collezione di rarità naturali.