La ragazza del convenience store
Devo ammettere di avere, da sempre, una particolare curiosità nei confronti della cultura giapponese: sarà perché il mio primo maestro di karate era un figlio del Sol Levante, sarà per i film visti in gioventù, tipo “I sette samurai”, “Rashomon“, “Morte di un maestro del tè” e, più recente “L’ ultimo samurai”, sarà per lo zen, il Giappone mi ha sempre intrigato.
Pensate a una nazione che fino ai primi dell’800 era completamente chiusa rispetto al resto del mondo, con una impostazione sociale improntata al feudalesimo a capo della quale stava (e ancora sta) l’ imperatore con una connotazione divina. Pensate al harakiri, il suicidio d’onore o ai kamikaze della seconda guerra mondiale o, più vicino ai giorni nostri, l’attaccamento, da parte dei dipendenti, alle società per cui questi lavorano.
Il rispetto dell’ altro al punto che non si saluta con una stretta di mano ma con un inchino.
Ho un piccolo aneddoto a proposito di questa cortesia nei confronti dell’ altro: ero in Polonia per lavoro, a Katowice, al tempo prima di Solidarnosc: spesso dovevo passare anche una quindicina di giorni in quella città grazie alla orribile burocrazia che regnava a quei tempi (tornavo sempre con due chili di biglietti da visita poiché ad ogni riunione io ero solo e dall’altra parte c’erano sette o otto funzionari come minimo); quando non ero invischiato in questi incontri in genere con tassi alcolici altissimi (si cominciava con caffè e Zubrufka che è una specie di brandy con dentro un filo di un erba delle pianure dove pascolavano i bisonti e poi si andava avanti a vodka e poi durante il pranzo con birra e vodka), restavo a mangiare da solo nel ristorante dell’albergo dove ero uno dei pochi avventori.
Era da un paio di giorni che vedevo ad un altro tavolo un giapponese che come me mangiava da solo e, dopo esserci salutati un po’ di volte, gli ho proposto di pranzare insieme, e così abbiamo fatto tutti i giorni successivi; per lui era la prima volta in Polonia per cui mi chiedeva sempre di ordinare per lui e io spesso ordinavo la tartarre che in quel ristorante era strepitosa. Ebbene venne fuori che lui la carne cruda non l’aveva mai mangiata, anzi gli faceva anche un po’ senso, ma per cortesia nei miei confronti mi aveva seguito nella mia scelta di cibo. Povero !!!
Passiamo al libro: “La ragazza del convenience store“ di Murata Saiaka.
È una opera prima, un po’ autobiografica, della giovane autrice che ha vinto parecchi premi in Giappone.
Racconta la storia di Furukura Keiko (in Giappone si mette sempre il cognome prima del nome), una ragazza molto introversa che a diciott’anni lascia gli studi per lavorare part time in un konbini, una specie di mini market aperto 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana. Lei, che si reputa “strana“ e “diversa“, in questo posto con delle regole ben precise per i suoi dipendenti, si sente finalmente a suo agio al punto che dopo diciotto anni si ritrova ancora lì a lavorare part time, senza una prospettiva di carriera e senza un amore importante. Sarà l’ incontro con un altro disadattato come lei, Shiraha, in cerca di moglie, a mettere in discussione il suo mondo fatto di regole.
Ovviamente non vi svelo il finale.
Un libro interessante, veloce da leggere, con uno sguardo attento sulla solitudine delle persone.
Copertina: la copertina del libro La ragazza del convenience store, sullo sfondo una fioritura di ciliegio, simbolo del Giappone