La ricerca della felicità, che non arriva mai
Nei giorni in cui si discute delle famiglie a partire da uno spot su una pesca, un film coraggioso racconta la vita dentro alcune famiglie in cui le relazioni tossiche generano infelicità.
Felicità è il titolo del primo film da regista di Micaela Ramazzotti. Un esordio felice che le ha procurato il Premio degli spettatori nella sezione Orizzonti Extra alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ramazzotti è anche la protagonista del film, è Desirèe aiuto parrucchiera sui set cinematografici, una giovane romana cresciuta in periferia, costretta a lavorare fin dall’adolescenza da genitori egocentrici, inetti e presuntuosi. Genitori (Anna Galiena e Max Tortora) dai quali non riesce a sottrarsi per amore del fratello Claudio (Matteo Olivetti). Il ragazzo lotta contro la depressione, ma per papà e mamma è “giovane e bello”, soprattutto è loro figlio, deve solo darsi una mossa, non perdere il treno, e portare a casa i soldi che il babbo, aspirante cantante, conduttore in una tv locale, non è in grado di guadagnare.
Desirèe non solo è sfruttata dai genitori che le fanno firmare impegni economici e la gettano nelle braccia di strozzini, lo è anche dal suo partner, un professore universitario (Sergio Rubini) che per lei rappresenta il riscatto sociale. Lei progetta la loro vita, forse un figlio, gli offre quel che ha e sa: amore e sesso, mentre lui la critica continuamente facendola sentire sempre inadeguata.
Felicità è un film duro, con risate a denti stretti, che suscita tenerezza grazie a Desirèe che, nonostante i dolori e gli insuccessi, non molla, si spende per chi come il fratello ha bisogno del suo aiuto. Felicità è untitolo beffardo, perché ognuno dei protagonisti è infelice a modo suo e si arrabatta per cogliere l’occasione, perché ci deve essere un’occasione. E l’occasione garantirà la felicità. Ma la ricerca della felicità non è, come scrive Giovanni Truppi nella sua canzone “Leggera come la primavera e piena di misericordia”, a volte impedisce di vedere cosa c’è intorno. È quel che accade a Max Tortora, bravissimo nella parte del padre vessatorio, che, cercando un po’ di notorietà, si esibisce in una Rsa sulle note di Felicità della Carrà che sa un po’ dell’allegria triste di una “parata circense.” Il suo successo dipende dallo sventolio dei fazzoletti degli ospiti riuniti nella sala soggiorno. Lo spettacolo avviene proprio mentre il figlio ricoverato in una clinica sta subendo un elettrochoc, ma il babbo non lo sa, non lo vuol sapere giacché i disturbi sono solo immaginari.
Eppure, nonostante siano nati da una famiglia così malata, il giovane Claudio e Desirèe conservano onestà e candore, anche se sono persone fragili e gli altri ne approfittano.
Nel film della Ramazzotti trovano posto molte altre cose: l’immigrazione, la malavita, l’abuso sessuale “poiché fanno parte della vita.” Il film ha richiesto una lunga preparazione frequentando anche cliniche psichiatriche.
La regista voleva raccontare la storia di una donna “storta”, un po’ come spesso lo sono state le donne che ha interpretato nella sua carriera. La storia l’ha scritta con due amiche, Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, e forse il punto di vista femminile ha garantito un atteggiamento poco giudicante. Perché, come ha precisato la regista: “Volevo che i personaggi fossero ritratti con compassione. Max Tortora è un attore formidabile ed empatico: al suo personaggio perdoni tutto perché anche se è omofobo e razzista, alla fine è un poveraccio, come tutti nel film.”
Trailer del film: https://www.youtube.com/watch?v=1UHt9QBT3SM
Copertina: Micaela Ramazzotti al Festival di Venezia