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Le buone intenzioni e le cattive tentazioni di Max Barabander

Tempo di lettura: 4 minuti

State per leggere di una gangster story ambientata nel mondo yddish polacco e scritta dal Nobel Isaac Bashevis Singer. Pubblicato dopo la morte dell’autore, Il ritorno in via Krochmalna riunisce alcuni racconti scritti per il foglio newyorkese Forverts. Altri racconti hanno dato vita ai romanzi Max e Flora e Keyla la Rossa. Cosa hanno in comune queste tre opere? Narrano di un mondo ebraico di loschi traffici, di ladri, truffatori, prostitute e assassini. Un mondo che appena dopo la Shoa è stato un po’ messo in secondo piano, ma che Isaac B. Singer sa restituirci in modo vivido e che ambienta nella via Krochmalna.

Max vive a Buenos Aires, è ricco, ha sposato Rochelle, ebrea come lui, e hanno avuto un figlio, Arturo. Purtroppo il ragazzo è morto improvvisamente e da allora Rochelle è cambiata, è depressa e gli ha persino suggerito di trovarsi un’altra donna.

Max ha 47 anni ben portati, si sente vivo ma teme di aver perso la sua virilità. Deve recuperarla e, per questo, parte per un lungo viaggio in Europa. Si ferma, inutilmente pensando al suo scopo, nelle principali città e capitali (Londra, Parigi, ecc.) finché giunge a Varsavia, il suo luogo di origine.

Nella sua città, forse, può ritrovare una seconda giovinezza e allo stesso tempo riscattare quella vita da delinquente (è stato in prigione da ragazzo) che lo ha indotto a fuggire in Argentina. Forse, recandosi sulla tomba dei suoi a Roskow può chiedere loro perdono, per non averli mai contattati dopo la fuga, e ritrovare il loro e, forse, suo Dio.

Siamo nel 1906 e Max, benché alloggi nel ricco Hotel Bristol, è fortemente attratto dalla via Krochmalna, la via del sottoproletariato ebraico. Lì ritrova gli odori di un tempo, la solita commistione di alto e basso, sacro e profano. Da notare che lo stesso Singer da ragazzo viveva al n. 35 della via.

Max entra in una taverna e trova ubriaconi e nullafacenti che immediatamente gli si fanno intorno e lo interrogano sulla vita degli ebrei in America. L’uomo offre a tutti da bere e mangiare, viene accalappiato dalla moglie di un panettiere che tenta di sedurlo, importunato da altri e invitato dal gigantesco Shmuel ad aiutare un rabbino che ha commesso un errore: ha celebrato un matrimonio non avendo un permesso e condannato così la famiglia a una vita povera di piccole donazioni.

Max è un uomo di buoni sentimenti e intenzioni, nonostante il suo passato e la tentazione di imbrogliare gli scorrano nelle vene. Si reca a casa del rabbino dove conosce la moglie e soprattutto la figlia quattordicenne che gli pare una delizia. Se ne invaghisce e racconta al sant’uomo di essere vedovo e di voler sposare la ragazza traendo così dalla miseria l’intera famiglia. Cominciano così le bugie, gli irrefrenabili imbrogli che fanno dire mentalmente allo stesso Max «ma cosa sto dicendo?»

La giovane ha un carattere deciso, ha rifiutato un pretendente minacciando il suicidio, legge i quotidiani e libri non religiosi e si considera una rivoluzionaria. Non si oppone alle avance di Max, che vede di nascosto e, forse, vede in lui la possibilità di evadere da una vita fatta di prescrizioni, scarsa libertà e miseria.

Ma le cose per Max si complicano, sembra posseduto da un demone che riesce sempre a sopraffare le buone intenzioni. Tramite Shmuel, conosce Reyzel, una mezzana piacente e amante dello stesso Shmuel. La donna gli propone un business: avviare un traffico di prostitute da Varsavia a Buenos Aires. Lì ha una sorella tenutaria di una casa di tolleranza. Gli propone altresì di diventare amanti confessandogli di volere abbandonare l’attuale compagno. Max già fantastica con Reyzel il recupero della virilità.

Nel frattempo la donna, indica a Max una servetta di vicini che potrebbe, se abilmente plagiata, diventare la prima delle giovani da esportare in Argentina. Inutile dire che Max si innamorerà anche della giovane Shasha e la sedurrà, proprio non ce la fa a tenere a bada il suo lato lussurioso e ad ascoltare quel lato della sua mente che gli dice che è giunto il momento di seguire la morale.

Troppo esposto con troppe donne, non sa cosa fare, a tutte promette e tutte tradisce, come uscirne? Va persino da una veggente e incontra il fantasma del figlio Arturo, il ragazzo, però, si esprime in polacco e non nell’unica lingua che parlava: lo spagnolo. Persino questo fantasma porta a Max una nuova donna interessante sessualmente e di cui occuparsi.

Poi succederà qualcosa che cambierà tutto.

Scritto con humor, ritmo, capacità di evocare contemporaneamente le varie voci, anche contrastanti, dell’animo umano il romanzo di Isaac B. Singer (ci tocca precisarlo perché di scrittori in casa Singer ce n’erano ben tre: Isaac premio Nobel, Israel non di meno in bravura ed Esther anch’ella capace di finezze, ma meno conosciuta) è una vera delizia.

Una curiosità: Singer parlando della via Krochmalna dove, come abbiamo già detto, aveva vissuto fino al 1935 e dove c’era la corte rabbinica del padre, (si veda Alla corte di mio padre) sottolinea: «La mia casa paterna in via Krochmalna a Varsavia era una casa di studio, un tribunale, una casa di preghiera, un luogo dove si narravano storie e si celebravano anche matrimoni e banchetti chassidici.

Da bambino ho sentito esporre da mio fratello maggiore e maestro, Israel J. Singer, che più tardi scrisse I fratelli Ashkenazi, tutti gli argomenti che i razionalisti da Spinoza a Max Nordau addussero contro la religione. Ho ascoltato da mio padre e mia madre tutte le risposte che la fede in Dio può suggerire a chi dubita o cerca la verità. Nella nostra casa e in molte altre case ho capito che i problemi eterni erano più attuali delle ultime notizie che si leggevano su un giornale yiddish».

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