Leggere Morselli oggi
La casa editrice Il Saggiatore ha recentemente pubblicato Gli ultimi eroi, una raccolta di racconti, di soggetti teatrali e cinematografici e di articoli di Guido Morselli.
Il libro offre al lettore una panoramica pressoché completa del variegato universo di un autore molto citato, poco letto e molto spesso dimenticato, e questo è il suo merito principale. Infatti, dopo la pubblicazione postuma, fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, di quasi tutti i suoi romanzi, Morselli è stato sostanzialmente rimosso dal mercato editoriale. Ripescato dall’Adelphi durante il Covid per via dell’inquietante somiglianza dello scenario di Dissipatio H.G. con le città desertificate dei lockdown, alla fine della pandemia è stato nuovamente relegato fra le giacenze. Nel 2023, nel cinquantenario della morte, i suoi editori non lo hanno né ripubblicato, né promosso. Varese, la città in cui ha vissuto gran parte della sua vita e dove è morto, lo ha a malapena ricordato.
Morselli è un autore scomodo per tante ragioni. Lo è per i temi che tratta, per la sua prosa e per la sua storia. Scrive sette romanzi diversi l’uno dall’altro, che spaziano dall’ucronia alla distopia, dal realismo all’indagine psicologica, dalla commedia al dramma. Cerca invano, per anni, un editore disposto a pubblicarli. Ci riesce quasi con Il comunista, il suo capolavoro, ma un ribaltone ai vertici della Rizzoli determina il licenziamento del suo editor, Giorgio Cesarano, e il conseguente depennamento delle sue pubblicazioni dal catalogo delle uscite. Il libro era già stato rifiutato dall’Einaudi: Calvino lo aveva liquidato dopo “una frettolosa lettura in treno” (così scrive) inanellando buoni consigli e storpiando ripetutamente il nome del protagonista, per distrazione o per burla. Dietro la “giocosità” dell’editor d’eccezione c’era probabilmente il veto del P.C.I. alla pubblicazione di un testo che, con qualche anno d’anticipo rispetto ai movimenti della fine degli anni Sessanta, criticava l’ortodossia del partito, la fede cieca nell’operato dei capi, qualsiasi esso fosse, il perbenismo e la religione del lavoro.
Guido Morselli non piaceva agli editori perché affrontava i grandi temi del mondo che stava cambiando con la passione e la vivacità dell’autodidatta (così si definiva) e con la libertà e lo sguardo critico di chi si poteva permettere, per censo e nascita, di professare le proprie idee indipendentemente dalle necessità materiali della vita. Il suo umanesimo lo spingeva ad affrontare i grandi temi del momento, la sua coscienza, la stessa coscienza che anima tutti i suoi personaggi, quella di essere parte in ogni caso e momento della grande Storia, lo riportava al centro del suo tempo ogni volta che scriveva, anche di minuzie o vicende personali. Morselli raccoglie e sviluppa l’eredità del primo Novecento, è preciso e puntuale in ogni particolare e su ogni argomento. Come Leonardo Sciascia è uno scrittore nel vero senso della parola: usa la parola scritta per descrivere e per capire la realtà in cui vive. Ed è umile, come si addice a chi vuole imparare.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1973, l’Adelphi fiuta il caso editoriale del genio incompreso e ribelle (alla cui configurazione aveva contribuito, rifiutandolo in vita) e lo pubblica. Gli anni sono quelli della contestazione, l’attenzione per le voci marginali e per gli scrittori “maledetti” è più viva che mai e il successo editoriale arriva, per poi sfumare e svanire negli anni successivi insieme ai movimenti e alla realtà che l’avevano motivato e sostenuto. Morselli resta un autore difficile da leggere e da accettare, soprattutto in un mondo fatto di immagini e di finte certezze. Ben venga dunque questa “riscoperta” che ci da’ la possibilità di rileggerlo e di riflettere sulle fondamenta e sulla solidità di un mondo che si spaccia come l’unico possibile ma che, almeno quando Morselli scriveva, non lo era affatto. E che forse non lo è neanche oggi.