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L’immensa distrazione, ovvero la vita

Tempo di lettura: 3 minuti

Il 21 febbraio 2017 il novantacinquenne Ettore Manfredini si “sveglia” e paradossalmente scopre di essere appena morto. Comincia con un protagonista morto ma vivissimo l’ultimo libro di Marcello Fois L’immensa distrazione.

In quella condizione Ettore si trova a riflettere sulla vita passata e a meditare sul senso del vivere e del morire. Era un uomo del fare e ora trova che: «Vivere è un’immensa distrazione dal morire. E perciò un sacco di tempo lo si spende a fare, pensare, agire, cose indifferenti. Così può accadere che non si ami abbastanza, né si odi abbastanza. Può capitare persino di investire un’immensità di energie a trovare soluzioni inutili per problemi inutili».

Era il terzo figlio dei Manfredini, una famiglia povera, e lui il migliore dei ragazzi, quello su cui la madre Elda puntava. Purtroppo, il ragazzo non ha potuto studiare ed è finito a lavorare nel macello Kosher della famiglia Teglio. Questi ultimi erano ebrei integrati ma con le leggi razziali, per evitare confische, hanno ceduto casa e macello al giovane Ettore, sperando di riprenderseli una volta caduto il regime.

Con la famiglia Manfredini, su insistenza della scaltra Elda, è rimasta anche Marida, una giovane figlia dei Teglio che viene presentata agli altri come una parente lontana degli stessi Manfredini. La ragazza ignora il destino della sua famiglia (denunciata e arrestata nel nascondiglio in cui si trovava e finita nei campi di sterminio) e dopo un po’ di tempo si trova a dover sposare Ettore e a vivere e allevare i figli (4) come una cristiana. Solo dopo molto tempo guardando un’enciclopedia incapperà in una foto dei fratellini in un campo di sterminio.

Nel suo tempo sospeso Ettore diventa un narratore onnisciente che ripercorre la propria vita e quella degli altri perché da morti «ci si prende ogni licenza possibile».

I Manfredini sono uomini del fare dotati di quell’accanimento di coloro che sono usciti dalla miseria e non intendono ritornarci. Non sono stati l’amore o gli affetti a cementarli, piuttosto, la convinzione di doversela cavare, di far fronte alle difficoltà interne ed esterne alla famiglia. «A pensarci, nella famiglia Manfredini era sempre stato così: i momenti di pace non erano altro che istanti per riprendere fiato».
Toccava sempre preoccuparsi dell’azienda (passata da macello Kosher a macello di suini), delle case, pensare alla successione al lavoro perché il primogenito Carlo si rivelava disinteressato all’azienda, mentre la seconda figlia Enrica aveva un piglio da manager. Le ultime figlie Edvige e Ester invece hanno percorso una vita diversa, una suora e una rivoluzionaria.

I ricordi di Ettore relativi alla sua famiglia s’intrecciano con la grande storia: il fascismo, la Shoa, il dopoguerra fino al 1968. E muore ritenendosi un uomo né felice né infelice.

Era un uomo del fare, è diventato un industriale nell’Emilia non più solo contadina. Ma la sua ricchezza e la sua posizione hanno alla base un furto (ai Teglio) e un inganno: far credere anche a Marida che gli averi e le ricchezze provenissero dal suo lavoro. Preso dall’arrivare Ettore non ha mai amato davvero i figli, troppo diversi e distanti, l’unico per cui provava un sentimento forte era il nipote Elio, quello che voleva fare lo scrittore.

Ora tutta quella frenesia che sentiva in vita, quell’agitarsi ha lasciato il posto a un’accettazione dei fatti: «La sua vita gli apparve improvvisamente come un materiale viscoso e granuloso che stesse passando attraverso un setaccio finissimo. Ma questa nuova consapevolezza che si faceva strada dentro di lui non aveva niente a che fare con i bilanci o cose simili: si manifestò piuttosto nella tranquillità di accettare la moltitudine di erroriche, in quella breve stagione che era stata la sua esistenza mortale, aveva commesso».

Fois riesce magistralmente a darci un affresco della famiglia Manfredini nell’Emilia che da contadina diventa industriale e che dal fascismo arriva ai nostri giorni.

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