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Maria Antonietta e la crudeltà della Rivoluzione

Tempo di lettura: 3 minuti

Le déluge, gli ultimi giorni di Maria Antonietta è il secondo film girato da Gianluca Jodice. Diversi registi prima di Jodice si sono interessati alla figura di Maria Antonietta, tra loro ricordiamo il più recente quello di Sofia Coppola sulla regina bambina, quando dall’Austria si sposta in Francia (1770); la principessa austriaca, fatti, ha 15 anni.

In Le deluge molti anni sono passati da quel momento, siamo nel 1792. Luigi XVI, sua moglie Maria Antonietta e i loro figli sono stati arrestati e imprigionati nella Tour du Temple. Nella fortezza parigina attendono il processo che, come sappiamo, li condannerà a essere ghigliottinati.

I reali appaiono smarriti, persa la sacralità anche se ancora vestiti con i simboli del potere, sono costretti a convivere con sporcizia e letti a terra. Luigi XVI, un irriconoscibile Guillame Canet, appare smarrito, incapace di reagire, mentre Maria Antonietta, una bravissima Melanie Laurent, invece pare indomita. Sono confinati in uno spazio chiuso che pare teatrale. Su questo palcoscenico i Borbone, in attesa della ghigliottina, paiono fantasmi di sé stessi (come suggerisce la fotografia sbiancata), sono terribilmente fragili e, agli occhi dei carcerieri, ridicoli nel loro comportamento adatto a una corte non a una prigione.

Non c’è per scelta fedeltà storica, l’attenzione è sui sentimenti intimi del re e della regina, gli sconfitti dalla storia, nell’imminenza della fine.

Senza potere sono in balia dei rivoluzionari che li custodiscono. Luigi chiede persino loro di spiegargli in dettagli come avverrà la sua decapitazione, mentre Maria Antonietta è costretta a suonare la Marsigliese su una spinetta o per amore dei figli a offrirsi a un carceriere.

La narrazione è molto controllata e trattenuta, tutto è filtrato attraverso gli occhi dei reali; anche la rivoluzione non si vede “diluviare” ma se ne ode l’eco.

Il film è diviso in tre parti: gli dei, gli uomini e i morti. La prima si concentra sull’arresto in cui i reali conservano le loro vestigia, titoli e riti all’interno di un salone. La seconda vede la famiglia di Luigi XVI in celle sporche e anguste, i Borbone hanno perso i loro titoli e privilegi e sono ridotti a uomini comuni e vessati dai carcerieri. Nell’ultima parte la contrapposizione tra i rivoluzionari e i reali sembra attenuarsi per lasciare spazio a una sorta di vicinanza umana tra i custodi e chi sta per affrontare la morte.

Un rivoluzionario alla fine del film afferma: «Il re amava molto il mio cane». Questa frase, dichiara Jovine in una intervista, è la chiave di lettura del racconto, denota infatti il livello edipico presente in ogni rivoluzione. «Odi il re e lo uccidi, ma il re è tuo padre, e in questo caso è anche Dio. Puoi fare la rivoluzione solo se uccidi tuo padre, verso cui comunque continuerai, in un modo o nell’altro, a provare amore. I francesi ci sono riusciti, noi una rivoluzione non l’abbiamo mai fatta proprio perché invece siamo troppo edipici. Però tutti i film sulla Rivoluzione francese hanno mostrato i rivoluzionari con il viso sporco che chiedono il pane e uccidono i padroni, e che per questo son contenti; e questa è una falsità, o almeno solo la superficie. La mia idea di diluvio è il chiedersi: «E ora? Abbiamo ucciso il re, abbiamo azzerato tutto, e adesso che succede?»

In questo clima di ansia rivoluzionaria il regista fa citare Bertolt Brecht: «Noi che abbiamo preparato il terreno alla gentilezza non abbiamo potuto essere gentili. Ma quando verrà il giorno in cui l’uomo sarà d’aiuto all’uomo penseranno a noi con indulgenza».

Le deluge è sicuramente un film originale per il punto di vista adottato, per la recitazione, per la ragguardevole colonna sonora e la fotografia.

Trailer ufficiale “Le Deluge”:
https://www.youtube.com/watch?v=_ePq157LzEQ

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