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Milo De Angelis: vivere per la poesia

Tempo di lettura: 3 minuti

Da ragazzo, Milo De Angelis viveva per la poesia, era in qualche modo sempre dentro la poesia, anche e soprattutto quando era immerso nell’ottusa vita che scorre anonima nelle metropoli.

La poesia era il suo talismano – posso dire così o fa troppo vetero Montale? – era urgenza e necessità, sfida e solitudine, forse anche “bisogno di essere spenti”, quando De Angelis si rifugia, senza parlare con nessuno, in un cinema al mattino, quando, seduto su una sedia di legno da sala parrocchiale, non conosce il suo futuro o il suo destino.

La poesia è forse ciò che è diverso, e lo scarto dalla norma può essere colto in un campetto di calcio, o in un collegio di gesuiti, non appena si riconosce un’impronta del “sacro”, inteso in senso laico, come qualcosa di irripetibile, magari in uno dei gesti atletici che spesso compaiono nelle poesie di De Angelis.

La poesia incrina le certezze e spazza via le convenzioni, come la ragazza che appare inaspettata tra i maschi nella Canzoncina per la bella ala sinistra.

Scrive Milo De Angelis, a lettere maiuscole, in cima al testo in apertura di raccolta, un titolo che sembra una dichiarazione di poetica: “Scriveva: sei solo: è un cerchio chiuso / ma una volta puoi aprirlo / magari con la chiave più falsa”.

La storia di queste Poesie dell’inizio (Lo Specchio, Mondadori 2025) è abbastanza rocambolesca. Non appena ha deciso che è pronta una selezione di poesie da pubblicare – Somiglianze (Guanda 1976) – il ragazzo Milo butta via le altre, quelle scartate, che diventano carta da spazzatura, non come accadrebbe oggi files recuperabili nel cestino virtuale di un computer. È un gesto drastico, da giovane che vuole fare chiarezza riguardo i suoi talenti prima di mostrarsi al mondo, un gesto di cui poi a lungo si pente.

Recupererà per caso quei testi, composti tra il 1967 e il 1973 – per inscriverli nel tempo, noto che De Angelis è nato nel 1951. C’è un amico che fortunosamente li ha conservati, Angelo Lumelli: glieli riporta in una serata abbastanza emozionante alla Casa della Poesia di Milano nel 2016. Mi piace ricordare che per caso c’ero anch’io (ma dio, sono già passati nove anni!) tra gli spettatori di un autentico evento.

Oggi 51 di quelle poesie sono la carta di questo libro. Le ha presentate, Milo De Angelis, a Milano alla Mondadori Duomo e Lumelli, che le accompagna in postfazione, consiglia di dimenticare la loro storia travagliata, di prenderle così come sono, poesie e basta, una vera raccolta. Ma io preferisco leggerle come poesie giovanili perché è in quel momento che, di solito, un poeta – anche il più cauto, e Milo De Angelis non lo è – si sente un eroe, infelice e irrisolto, coraggioso e sprezzante quanto mai, pur se manca un porto alla sua vocazione…

Ecco. A un certo punto dell’incontro milanese, De Angelis dice una cosa che mi colpisce, che le due più significative fasi di una vita sono la giovinezza e la vecchiaia – non perché la vecchiaia guarda avanti ma perché permette di volgersi indietro, senza pedanterie proustiane, alla ricchezza di tutto quello che è – sembra essere – alle nostre spalle.

Credo che ciò abbia a che fare con il tema del ritorno – “solo nel ritorno possiamo sapere cosa ci è realmente accaduto… nel fondo assoluto e misterioso che sostiene la nostra esperienza” (Milo De Angelis, Ritorno, Vallecchi 2022) – di cui parla in prefazione Luigi Tassoni. È una illuminazione che accende in me una luce incerta e dubbiosa sulle vite di mezzo – di solito considerate come le più significative, nel senso di reali e fattive ecc. ecc. – della nostra esistenza.

Nota a margine. Speravo che fosse compresa nel volumetto, e peccato che non c’è, la limpida e commovente lettera amicale di De Angelis a Lumelli, che è stata letta a Milano da Viviana Nicodemo.

Articolo pubblicato anche su https://www.allonsanfan.it/

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