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Quattro “imprevisti” nella Storia del ‘900

Tempo di lettura: 3 minuti

Il tempo degli imprevisti di Helena Janeczek, già vincitrice del Premio Strega con La ragazza con la Leica, è un libro speciale che unisce la fabula alla storia e che con quattro racconti ci consegna un affresco di un periodo del Novecento che va dagli anni dell’Expo di Milano (1906) alla promulgazione delle leggi razziali del ’38.

Le storie accadono in diverse città italiane: Milano, Merano, Venezia e Trieste. Ognuna di esse ha per protagonista una persona realmente vissuta (Abigaille Zanetta, Franz Kafka, Mary de Rachewiltz figlia di Ezra Pound e l’economista, antifascista Albert Hirschmann).

Il primo racconto ha per protagonista Abigaille Zanetta, una maestra, venuta a Milano dai monti novaresi, con una sorella. La Milano ai tempi era in grande in trasformazione a causa dell’Expo, le facciate delle case avevano decorazioni Liberty, le aree rurali si

riempivano di edifici.

Le due giovani sorelle partecipano al fermento della città internazionale e riescono a diventare indipendenti con l’insegnamento, l’unica via per le donne dell’epoca di estrazione borghese per garantirsi una vita decorosa.

La grande città è anche il luogo della loro emancipazione, la modernità con tutte le sue contraddizioni è il luogo in cui crescono il cattolicesimo sociale, e molte iniziative legate al socialismo come L’Umanitaria (di cui abbiamo parlato in altri pezzi). È quello anche il momento dello sviluppo dei sindacati, delle società di mutuo soccorso.

Sono altresì gli anni del piano urbanistico, degli opifici che si tramutano in fabbriche. In tutto questo fermento Abigaille Zanetta diventa una militante socialista, e entra a far parte della redazione del primo giornale socialista femminista La difesa delle lavoratrici creato da Anna Kuliscioff.

Partecipa al V Congresso della previdenza e il suo intervento sulle casse di maternità ha un grande successo. Arriva poi il momento dei dissidi sulla linea del partito, Abigaille che non va più d’accordo coi riformisti, rompe con la Kuliscioff. Ma non concorda neppure con i massimalisti, per questo, all’indomani della Prima guerra mondiale, lascia il fidanzato Sandro Giuliani, in seguito sodale di Mussolini. Da notare che all’epoca ha 40 anni, allora un’età di condanna a una vita in solitudine.

Janeczek si diverte, scrive una lettera di Abigaille, basandosi su diari, ad Anna Kuliscioff. Lettera in cui accusa la leader del socialismo dicendole: «Tu ci hai guardato, ma ci hai guardato dall’alto».

La Zanetta vedeva lo scollamento dei socialisti dal vissuto popolare, lo stesso di una serie di élite, inclusa quella della nata Unione femminile, tranne Ersilia Bronzini Majno. L’interventismo democratico non rispecchiava il sentire della povera gente, costretta allo stremo, già prima del conflitto e in condizioni drammatiche sul fronte militare e anche nel cosiddetto fronte interno.

Kafka è il protagonista della seconda storia. Lo scrittore è a Merano nel 1920. È in un luogo di cura che ricorda La montagna magica di Mann, fa molta fatica ad adattarsi, non dorme, è vegetariano, quindi ha un regime diverso dagli altri, e poi è convinto che qualcuno apra le sue lettere, le lettere che gli manda Milena, la traduttrice di cui è innamorato.

Il racconto si apre con una parodia del Processo e gioca col personaggio Kafka, un po’ paranoico, utilizzando un intreccio semi spionistico. Anche il tempo di questo racconto è di imprevisti, di lotte sotterranee di nazionalismi. Il Trentino è una terra appena acquisita dall’Italia dove sono presenti sia l’irredentismo austriaco tirolese sia l’ultra nazionalismo italiano.

Il terzo racconto vede l’incontro a Venezia tra un mendicante e una sua vecchia amica d’infanzia, Mary la figlia del poeta Ezra Pound. Siamo nell’Italia fascista. Mary, nei primi anni di vita è cresciuta presso una famiglia contadina in Val Pusteria. Estremamente affezionata alla famiglia e ai luoghi, ha dedicato un libro autobiografico a questa sua esperienza. Strappata, dai genitori biologici, alla vita contadina, viene portata a Venezia a studiare. Probabilmente l’amico pitocco incontrato era uno jenisch, un nomade dell’arco alpino membro di una comunità perseguitata.

Trieste è il luogo del quarto e ultimo racconto. Qui nelle chiacchiere dei bar frequentati dalla media e alta borghesia di piazza Unità d’Italia, sia attraverso le avventrici, sia attraverso gli avventori, incontriamo Albert Hirschmann (economista, volontario nella guerra di Spagna e con Varian Fry impegnato nel salvare la vita a intellettuali ebrei e antifascisti in fuga dalla Francia occupata).

È a Trieste nel 1938 per frequentare un dottorato in Economia e si apposta davanti a una scuola femminile frequentata dalle figlie di molte frequentatrici dei bar, in attesa di un insegnante, il cognato Eugenio Colorni (filosofo, antifascista, con Spinelli scrive il Manifesto per un’Europa libera, in seguito assassinato dai fascisti a Roma).

La borghesia triestina era variegata e con una forte comunità ebraica e il racconto, forse il più lieve e divertente, nonostante l’incombenza delle persecuzioni, chiacchiera, chiacchiera, fa affari (gli uomini) e non si accorge di ciò che sta per arrivare.

Un libro di grande interesse e con una scrittura accuratissima che mischia registri alti e bassi, lingua letteraria e oralità.

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