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Sofonisba Anguissola, un sorriso nella storia

Tempo di lettura: 4 minuti

Qualche mese fa, durante una visita guidata al Museo del Prado di Madrid, mi sono imbattuta (ignoranza mia!) in una pittrice straordinaria di cui non avevo mai sentito parlare: Sofonisba Anguissola.
Tra le sale affollate, tra i grandi nomi della pittura europea, la guida si fermò davanti a un’opera delicata, intensa, firmata da una donna. Mi colpì subito e annotai il suo nome per, tornata a casa, iniziare a documentarmi spinta da una curiosità che è presto diventata ammirazione.

Ho scoperto non solo una grande pittrice, ma una donna eccezionale: una figura moderna, colta, tenace, che ha saputo ritagliarsi uno spazio nel mondo dell’arte in un tempo che non lo permetteva facilmente. Un esempio prezioso per tutte e tutti noi.

Sofonisba Anguissola – Autoritratto

Nata a Cremona nel 1532, Sofonisba fu una pioniera dell’arte capace di muoversi con ingegno e abilità nei salotti del potere, lasciando un segno nella storia. La sua pittura unisce realismo ed emozione, con sguardi espressivi e dettagli minuziosi. Michelangelo stesso, contattato dal padre della giovane perché visionasse le opere della figlia, ne riconobbe il genio e la incoraggiò a esplorare le espressioni umane, vedendone l’abilità nel celebre “Fanciullo morso da un gambero” in cui si evince la maestria della pittrice nel catturare dolore e spontaneità. Alcuni addirittura ritrovarono questa smorfia di dolore dipinta da Sofonisba nell’ opera “Ragazzo morso da un ramarro” di Caravaggio.

Sofonisba dipinse con maestria, celando la sua audacia dietro l’immagine di una donna virtuosa che nei suoi autoritratti si raffigura con libri e abiti sobri, affermando così il suo diritto a essere un’artista. Alla corte di Filippo II di Spagna lavorò come dama di compagnia, senza poter firmare le proprie opere, ma nonostante ciò, le sue pennellate lasciarono un’impronta riconoscibile nelle tele reali. Pare che il suo talento non fosse ricompensato con denaro, ma con gioielli e stoffe preziose, poiché alle donne era vietato ricevere un compenso economico.

Dopo il matrimonio con Fabrizio Moncada nel 1573, si trasferì in Sicilia e, rimasta vedova, dipinse la “Madonna dell’Itria”, in cui il volto della Vergine è un suo autoritratto.

Successivamente sposò Orazio Lomellini e si stabilì a Genova, dove continuò a ritrarre membri di corte per oltre trent’anni.

La data di morte di Sofonisba non è chiara, così come non lo è il luogo della sepoltura, ma sappiamo che nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi a Palermo vi è una dolce lapide fatta erigere dal marito della defunta in onore dei suoi cent’anni.

«Alla moglie Sofonisba, della nobile casa d’Anguissola, che per la sua bellezza e le sue straordinarie doti naturali era annoverata tra le donne più illustri, e così ammirevole nel ritrarre le immagini umane che nessuno del suo tempo poteva paragonarle. Orazio Lomellino, commosso da profonda tristezza, dedica quest’ultimo segno di onore, piccolo per una donna simile, ma grandissimo per i comuni mortali» 1632

Il giovane artista Antoon van Dyck, che la incontrò nel 1629 a Palermo, riconobbe in lei una maestra da cui imparare e non solo annotò minuziosamente i suoi consigli nel suo taccuino, ma ne disegnò anche il ritratto.

“Ritratto di Donna Sofonisma (sic), pittrice, eseguito dal vero a Palermo il 12 luglio 1629. Aveva 96 anni, aveva ancora una memoria e un cervello acutissimi, era molto istruita. Sebbene a causa della vecchiaia la sua vista stesse peggiorando, aveva comunque il piacere di tenere dei dipinti davanti a sé e, avvicinando il naso al dipinto, riusciva a distinguere qualcosa e ne provava grande piacere. Mentre dipingeva il suo ritratto, mi diede diversi consigli, come quello di non lasciare la luce troppo alta perché le ombre avrebbero messo in risalto le rughe della vecchiaia, e molti altri buoni consigli. Mi raccontò anche parte della sua vita, da cui si evince che era una pittrice dal vero miracolosa, e il suo più grande rammarico era che a causa della vista che le stava diminuendo non poteva più dipingere, sebbene la sua mano fosse ancora ferma, senza alcun tremore.”

Sofonisba Anguissola non è solo una pittrice dimenticata, ma un simbolo di determinazione e talento. In un’epoca in cui alle donne era negata una carriera artistica, lei si affermò con intelligenza e resilienza, conquistando indipendenza e riconoscimento internazionale. Il suo esempio ci invita a sfidare le convenzioni, credere nelle nostre capacità e dare valore al nostro talento, senza timore di essere giudicati. L’arte, come la vita, è una questione di sguardi: quelli che posiamo sul mondo e quelli che il mondo posa su di noi.

Che Sofonisba sia ancora oggi sconosciuta ai più è emblematico e significativo. Lo è per le tante donne che, nel corso dei secoli, hanno vissuto all’ombra di padri, fratelli, mariti, o che si sono autocensurate, convinte di non essere all’altezza, o semplicemente ignorate dalla storia scritta da uomini. Anche oggi molte donne si nascondono, dubitano del proprio valore, sottovalutano il proprio lavoro. Ma Sofonisba ci insegna che la luce si può coltivare e che il talento può emergere anche tra mille ostacoli. Ci ricorda, inoltre, l’importanza di un sostegno autentico, perché fu anche grazie alla fiducia e alla lungimiranza di suo padre, che la incoraggiò a studiare e dipingere, che poté diventare ciò che era destinata a essere.

Potremmo essere noi, oggi, quel padre in grado di veder oltre le convenzioni sociali e donare alla propria figlia, o figlio, uno sguardo oltre agli stereotipi contemporanei.

Sofonisba è un sorriso della storia che ha attraversato i secoli per dirci che l’arte, come la vita, può essere uno spazio di libertà e affermazione personale.

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