Storia di una “nubivaga”
C’era una volta una donna nuvola.
Camminava sbadatamente, era “nubivaga”.
Aveva percorso col vento distanze incredibili, ma senza che il suo passo avesse un rumore.
Quando si arrabbiava, regalava temporali, tuoni e fulmini.
Quando era felice, sembrava un cirro appena accennato nel cielo di Marzo.
Ma aveva un blocco o forse una risorsa conservativa.
Credeva più facilmente in ciò che non esisteva.
Perché nei suoi viaggi di nuvola, il mondo era come avrebbe voluto che fosse davvero.
Ma era anche una donna.
Toccava la realtà, e ne rimaneva spesso spaventata o incredula.
Era vivere, ma era un’esperienza potente.
E così, volava, di nuovo nuvola, in cerca di serenità e visioni dall’alto.
Un mattino, mentre la città iniziava a brulicare come un formicaio, assorta nel suo animo leggero e distratto, urtò un passante.
Era un uomo vento.
Un uomo che camminava volando come lei.
E per quanto fosse stato concreto e fisico l’urto con il suo corpo, rimase stupita dalla sua leggerezza.
Lo scontro sembrò un soffio.
Eppure si toccarono.
Eppure si conobbero.
Diventarono prima amici.
Lui la portava dove non era mai stata, dava un suono al mondo che li circondava.
Se era un rumore troppo forte, lo portava via lontano perché lei non ne soffrisse.
Se voleva farle ascoltare qualcosa che poteva essere impercettibile ma prezioso, la teneva per mano e le sussurrava all’orecchio folate di musiche lontane.
Si sfioravano l’un l’altro, abbracciandosi quasi di nascosto, senza mai stringersi.
Il vento che lui si portava dietro, scompigliava i vestiti di lei… così il cappotto non riusciva a starle mai chiuso, e lui ci si riparava dentro, nascondendo il viso e facendosi strada nella sua morbidezza.
Quando l’uomo vento era contrariato o pensieroso, lei si allontanava.
Veniva spazzata via da quell’insicurezza e i pensieri diventavano vortici e mulinelli pieni di foglie secche e polvere.
Un giorno, la corrente la spinse talmente lontano, da sembrare che non si potessero più incontrare.
Pensarono di non essersi mai conosciuti, eppure il ricordo del loro mescolarsi, fischiava lontano.
L’uomo vento quando si placava, toccava il suolo e la realtà lo faceva sentire prigioniero.
Solo lei lo poteva abbracciare dandogli un corpo, un luogo fuori dal tempo in cui diventare caldo scirocco.
Così dopo una tempesta di lontananza e pioggia battente, si ritrovarono in un mattino freddo di febbraio e si riconobbero.
Si misero a camminare mano nella mano, come un uomo e una donna.
Con lo stesso ritmo, la stessa leggerezza sul suolo, consapevoli di accettarsi come creature terrestri oggi all’unisono, l’indomani magari elettivamente affini e complementari, ma persi nel loro mondo fatto di cielo.
Solo a quel punto, si regalarono l’uno all’altro, si donarono la comprensione e l’ amore.
Solo allora si raccontarono insieme,
come una stagione,
come nella vita oltre l’ azzurro.
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