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Nostalgia e rivoluzione: da Reagan a Trump

Tempo di lettura: 3 minuti

Una battaglia dopo l’altra l’ultimo film di Paul Thomas Anderson nelle sale cinematografiche sembra rifarsi lontanamente al romanzo di Thomas Pynchon Vineland.

La pellicola racconta le burrascose lotte per i diritti civili di un gruppo di rivoluzionari. Il loro compito è liberare gli immigrati clandestini rimasti incastrati dalla costruzione del muro tra Usa e Messico negli anni ’90 del secolo scorso.

Bob Ferguson (un ottimo Leonardo di Caprio) fa parte del gruppo rivoluzionario French 75 che assalta le prigioni dove sono richiusi i migranti, con lui c’è anche la sua compagna afroamericana Perfidia Beverly Hills (una incredibile Teyana Taylor). Le liberazioni di questo gruppo sono vere e proprie performance che umiliano i militari statunitensi.

Vendicare l’esercito e schiacciare i rivoluzionari è, invece, il compito che si è dato colonnello Steven J. Lockjaw, un uomo razzista e tutto d’un pezzo (magistralmente reso da Sean Penn). Nel libro, come detto, siamo negli anni ’90, nel film la storia si sposta nel 2000 e le assonanze con i nostri giorni sono molte.

Tra un’azione e l’altra Bob e Perfidia vivono come una coppia, hanno persino una figlia.
Ma la piccola Willa non ferma la madre dal compiere azioni clamorose, una delle quali si conclude con la sua cattura ad opera di Lockjaw e con la sparizione (morta? collaboratrice? fuggita all’estero?).

Passano 16 anni, Bob e Willa vivono in un bosco, una vita tranquilla, persino noiosa, sempre attenti a non lasciare tracce, la ragazza è l’unica, tra i suoi coetanei, a non possedere uno smartphone, in compenso (non si sa mai) frequenta un corso di arti marziali (istruttore Benicio del Toro).

Anche la vita del colonnello Steven J. Lockjaw prosegue, è a un passo dall’entrare finalmente in una esclusiva organizzazione di suprematisti bianchi, dedita a S. Nicola (qualcuno può legittimamente pensare al movimento MAGA e alle sue fobie suprematiste). Ogni membro deve essere immacolato.

Qualcuno, però, raccoglie la voce che il colonello inflessibile abbia un debole per le donne di colore e che addirittura con una abbia avuto una figlia. Lo stesso Lockjaw sospetta di essere il padre di Willa e cerca di verificare se davvero sia così e trovare una degna soluzione a questo errore che gli preclude l’ingresso nel club.

Senza rivelare troppo e svelare i numerosi colpi di scena, il colonnello cerca una conferma col test del DNA. All’azione del militare corrisponde una reazione di Bob che la smette con le canne e riprende un vecchio fucile.

Le battaglie non sono mai finite, forse sono diverse e aver fallito in passato non pregiudica il futuro?
Anderson è abilissimo a usare diversi registri: grottesco, umoristico, realistico, fantastico solo mischiandoli si può raccontare un’America complessa che da Reagan arriva al 2020 a un clima già trumpiano.

Alcune scene i dialoghi ci ricordano Tarantino, in altre il film diventa d’azione.

Grande protagonista è anche il tempo, sia come storia sia come tempo che trasforma le singole vite. È il tempo che tramuta un rivoluzionario come Bob in un uomo sbarellato, che gira con una vestaglia da grande Lebowski, preoccupato solo di non essere riconosciuto e di crescere la figlia. È lo stesso tempo trascorso che gli fa urlare a un integerrimo e rigido amico rivoluzionario: “Si vede che non hai mai avuto un figlio!”. Ognuno è prigioniero del suo tempo, solo Willa sa legare passato e presente.

Anderson è bravissimo anche tenere il ritmo della narrazione e i 162 minuti di Una battaglia dopo l’altra passano in un soffio.

Trailer ufficiale del film:
https://www.youtube.com/watch?v=Q7jvtxZZfKk

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