Carne bianca, pelle nera
Ma che bello l’astigiano! Cultura, enogastronomia, accoglienza turistica, paesaggio incantevole da gustarsi tra una flûte di spumante DOCG e un sorprendente piatto collettivo di bagna càuda… per non parlare del tartufo bianco, prezioso nel costo quanto nel gusto sopraffino.
Agricoltura ordinata, senso piemontese del far bene le cose, con poche parole e tanto buon senso.
Mica come nell’agro pontino, assurto alle cronache in questi giorni per l’orrore di un racconto che puzza di normalità, dove Satnam Singh, un giovane uomo arrivato in Italia tre anni fa dal Punjab, straziato da una macchina agricola alla sua dodicesima ora di lavoro sotto il sole, è stato gettato via insieme al suo braccio strappato, tra le lacrime della giovane moglie/collega di lavoro e il commento del suo padrone: «se l’è cercata!»
Asti non è come Latina! O no?
Luca Monaco, bravo giornalista de La Repubblica, in questi giorni sta pubblicando una sua inchiesta che si basa sui racconti dei protagonisti, e le conseguenti ricerche della CGIL, e indagine della Guardia di Finanza. La scintilla che ha acceso la luce si chiama Bilal, un richiedente asilo politico trentenne egiziano, arrivato con un barcone dalla Libia nel 2022, poi ospite del centro d’accoglienza di Valmaggiore (Asti), finito nell’inferno degli allevamenti avicoli locali che conferiscono la carne bianca alle grandi catene di distribuzione italiane, insomma la carne di pollo che gira sulle nostre tavole imbandite.
Bilal racconta che appena arrivato al centro d’accoglienza, un ‘caporale’ suo connazionale l’ha arruolato con altri tre immigrati irregolari, per lavorare in un grande allevamento di polli. Il loro compito li impegnava dalle 5 del mattino alle 10 di sera. Si trattava di dividere i polli – già gasati con un sistema industriale – buoni da quelli cattivi da scartare. Questi ultimi erano circa mille al giorno (!) da trasportare con le carriole allo smaltimento. Quelli ‘buoni’ invece venivano caricati su dei Tir destinati a Milano. Ogni Tir riempito valeva 20 euro per i quattro lavoratori che dovevano dividersi il ‘prezioso bottino’. Però, se riuscivano a riempirne tre di Tir, avevano un premio speciale di 10 euro, non a testa, sempre da dividere in quattro parti. Tutto in nero naturalmente.
Ma se tutto questo fa già schifo come l’odore insopportabile che, nel racconto di Bilal, accompagnava le loro interminabili giornate di lavoro, lo è ancora di più la motivazione della denuncia fatta dallo stesso giovane egiziano alla CGIL di Asti: i pochi soldi promessi non venivano versati ai lavoratori, e alle loro rimostranze, il caporale connazionale rispondeva con minacce a loro stessi e alle loro famiglie in Egitto.
Non mi pare che servano ulteriori commenti; solo tre domande:
1 – Quando avremo l’onestà di riconoscere che i circa 100 mila irregolari al lavoro nelle nostre campagne sono una necessità concreta da regolare e gestire, e non una astratto fenomeno da utilizzare solo come carne da campagna elettorale?
2 – Com’è possibile che a Latina come ad Asti e in ogni dove agricolo e zootecnico possano esistere forme di schiavitù feroci, orrende, del tutto invisibili agli occhi di tutti: forze dell’ordine, sindacati, magistratura, autorità locali?
3 – C’è qualcuno tra gli onorevoli esponenti dell’arco costituzionale tutto, o magari del mondo della scienza e della tecnica e perché no, dell’etica, della filosofia, o semplicemente della buona nutrizione che finalmente ci faccia ragionare su come ci alimentiamo?