Don Milani, maestro degli ultimi
Finalmente anche lo Stato italiano si è ricordato di don Lorenzo Milani a 100 anni dalla sua nascita. Sabato scorso il Presidente Sergio Mattarella si è recato in visita alla chiesetta dove aveva vissuto e tenuto messa il priore di Barbiana, la piccola frazione del comune di Vicchio, nel Mugello.
Ma già sette anni prima, il 20 giugno del 2017, quel luogo sperduto alle porte di Firenze era stato visitato da Papa Francesco. E quella visita è forse stata più importante perché sottolineava il riconoscimento della Chiesa del lavoro svolto da don Milani in nome della carità cristiana, nello stare sempre dalla parte dei più deboli. Per anni subì critiche e duri attacchi dal mondo cattolico e laico.
Nei primi tempi del suo sacerdozio la Chiesa lo punì per le sue idee “rivoluzionarie” mandandolo in esilio a Barbiana e lo Stato italiano lo mise sotto processo per aver difeso le ragioni degli obiettori di coscienza che rifiutavano il servizio militare. Lo aveva fatto in risposta a un gruppo di cappellani militari che ritenevano l’obiezione “un insulto alla patria e un atto di viltà”. I giudici lo assolsero.
Persino Indro Montanelli nel 1958 lo attaccò in un articolo sul “Corriere della sera” con una severa critica al libro “Esperienze pastorali” che il parroco aveva pubblicato lo stesso anno e che il Sant’Uffizio aveva immediatamente messo all’indice. Il giornalista riparò alla durezza dell’articolo inviando a don Milani una lettera nella quale scriveva: “Avrei voluto dire di più e meglio ma il mio giornale ha delle esigenze. Io sono dalla sua parte con la metà di me stesso (la migliore) e con l’altra col Sant’Uffizio.” Come dire che ne aveva parlato male per aver dovuto rispettare la linea del giornale a quei tempi filodemocristiana.
Don Milani era nato a Firenze nel 1923 da una famiglia borghese e benestante. Nel 1943 entrò nel seminario e venne ordinato sacerdote nel ’47. Il primo incarico fu a Montespertoli come aiutante del parroco e l’anno dopo a San Donato di Calenzano dove oltre a dire messa insegnò come volontario in una scuola popolare per operai. Fu qui che entrò in contatto col mondo del lavoro, dello sfruttamento, della disoccupazione, della miseria. Prese le parti della povera gente ma sempre in nome del Vangelo e della carità cristiana. Non faceva politica ma ugualmente la Curia di Firenze lo considerava troppo “ribelle” e troppo vicino agli emarginati.
Nel dicembre del 1954 fu trasferito a Barbiana nella piccola chiesa di una frazione di Vicchio le cui case erano sparpagliate tra le colline del Mugello. Il boom economico, iniziato da poco, non era ancora arrivato da quelle parti e quei posti erano considerati una zona depressa come tante altre del Sud.
Il mondo cattolico dell’area fiorentina era spaccato in due: da una parte il gruppo di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, appartenente alla sinistra democristiana, dall’altro una e più curie strettamente legate alla ortodossia reazionaria di Pio XII, Papa Pacelli. E proprio in quegli anni, il vescovo di Prato monsignor Pietro Fiordelli in un’omelia accusò di essere “pubblici concubini” i coniugi Bellandi, colpevoli per la Chiesa di essersi sposati in Comune. La coppia lo denunciò e venne condannato “per diffamazione” a una lieve ammenda. Fu poi assolto in appello.
Era questo il mondo che a quei tempi circondava don Milani: miseria e strapotere della Chiesa. E in quella atmosfera il priore fondò la sua scuola, quella di Barbiana, un’esperienza educativa con metodi d’insegnamento innovativi, rivolta ai ragazzi di quella comunità svantaggiati rispetto ai coetanei delle città perché non potevano raggiungere una scuola e le famiglie non avevano i mezzi economici per aiutarli. Il Vangelo e la Costituzione italiana furono i principali punti di riferimento delle lezioni. Insieme ai suoi allievi scrisse “Lettera a una professoressa”, un libro che criticava duramente la scuola dell’obbligo paragonata a “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. L’opera venne pubblicata un mese prima della sua morte che avvenne il 26 giugno del ’67. Il priore fu sepolto nel piccolo cimitero di Barbiana, a pochi passi dalla scuola. Indossava l’abito talare e gli scarponi da montagna.
Foto: don Lorenzo Milani a Barbiana con i suoi allievi