Grossmann: La pace è l’unica strada ma il cammino sarà lungo
La pace è l’unica strada è un piccolo libro di David Grossman che raccoglie otto brevi scritti dedicati al conflitto israelo-palestinese. Grossman si sofferma sulla parabola politica di Israele reso più vulnerabile dai governi dell’estrema destra che ne hanno minato i valori democratici.
Oltre agli articoli apparsi su la Repubblica e il Corriere della Sera, ci sono anche due inediti: Che cos’è uno Stato ebraico e ll diritto alla felicità, quest’ultimo è il discorso tenuto alla cerimonia di consegna del premio Erasmus ad Amsterdam nel 2022.
Il libro si apre con l’autore che chiede scusa «a un’intera generazione di bambini, a Gaza e ad Askelon, che presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili, dei bombardamenti e delle sirene». Siamo nel 2021 e si rivolge loro precisando «non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto».
Raccolti insieme, questi interventi rivelano la parabola del declino dei valori che per anni hanno guidato Israele fino a che il Paese si è lasciato sedurre da una leadership corrotta che l’ha trascinato sempre più in basso (si veda la cosiddetta riforma giudiziaria che subordina la magistratura alla Knesset e al governo).
Grossmann, con gli scomparsi Amos Oz e Abraham B. Yehoshua, ha sempre denunciato il paradosso della «guerra che non si può vincere», della necessaria soluzione dei due Stati.
«È vero, fare la guerra è più facile che fare la pace. Nella realtà in cui viviamo, la guerra si tratta solo di continuarla, mentre la pace costringe a processi psichici difficili ed elaborati… Noi israeliani ci rifiutiamo ancora di capire che è finito il tempo in cui la nostra forza può determinare una realtà comoda solo per noi».
E poi ancora «la vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti-dalle due parti- anelano a vivere in pace in una convivenza equa e quanti – dalle due parti – si nutrono psicologicamente e ideologicamente di odio e violenza».
Sulla occupazione dei territori «Anni di occupazione e di umiliazioni possono invece creare tra gli occupanti la sensazione che esista una sorta di gerarchia del valore della vita umana. […] l’occupante si considera superiore, e quindi padrone di diritto. In una realtà simile, quanto più aumenta l’influenza della religione, tanto più cresce la convinzione che tale realtà derivi dalla volontà di Dio» con buona pace della visione democratica, tollerante e liberale.
il popolo ebraico ha «il dovere di imparare come essere una maggioranza». Lo può fare superando il complesso della minoranza perseguitata e scoprendo gli obblighi di una maggioranza nei confronti di altre minoranze. Certo è un compito difficile che comporta onerosi cambiamenti e «una politica di protezione delle varie minoranze contro la piaga del razzismo e dei crimini ispirati dall’odio».
Dopo il 7 ottobre (gli ultimi scritti risalgono a 40 giorni dopo il sabato nero) si è persa per sempre la speranza di un dialogo, di una riconciliazione tra i due popoli? E quale parte hanno avuto su Hamas i negoziati tra Israele e i Paesi arabi (Arabia Saudita, Emirati Arabi e Marocco) in cui Netanyahu è riuscito a recidere la questione palestinese da questi accordi?
L’ultimo scritto è dedicato al concetto Tikkun Olam, vecchio di più di duemila anni, che ricorda «l’aspirazione e l’impegno a fare del bene, a migliorare il mondo, a provare il senso di responsabilità morale verso chiunque, ebrei e non ebrei, verso un ideale di giustizia sociale e di qualità dell’ambiente».
Qui Grossman ricorda Etty Hillesum che nella sua baracca di Auschwitz continuava a essere un cuore pensante. Allo stesso modo gli abitanti sopravvissuti delle località israeliane vicino a Gaza non sono state abbruttite dalla guerra, continuano a essere persone «Che perseguono la pace, il bene. Spesso anche quello del nemico». Da loro si potrà ricominciare per rifondare lo stato riportandolo ai valori ora minati. Non sarà facile né breve.
Copertina: l’orrore di Gaza (Foto Vatican News)