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Il Losco verticale di Milano?

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La terza lettera del titolo non è un refuso, ma è lo scambio di consonante da B a L, che un mio vecchio amico milanese con ironia ha postato su Facebook per dare un nome a quanto sta accadendo in questi giorni nella selva di grattacieli della “capitale morale”.

Mi guardo bene dal dare una valutazione definitiva su questo affaire edilizio-giudiziario aperto dalla magistratura con grande risonanza. Già si parla di una nuova “Mani pulite”; Salvini e La Russa chiedono le dimissioni del sindaco Beppe Sala e di tutta la giunta di centro-sinistra, mentre il Presidente della Regione Lombardia, il leghista Giuseppe Fontana, ha subito dato il suo sostegno al sindaco. «Mi pare tutto basato su una teoria – ha sostenuto in un’intervista al Corriere della Sera – C’è una clamorosa discrepanza tra la velocità del mondo e quella delle amministrazioni, della politica e della burocrazia; alla fine uno dei due versanti finisce in sofferenza. Più si complica il labirinto di norme e più c’è spazio di manovra per i furbetti».

Il sindaco non si è dimesso dichiarando: «Ho le mani pulite, io vado avanti». Ma se alla fine dell’inchiesta avrà ragione, rimarrà ugualmente il pessimo risultato di una amministrazione che ha rovinato per sempre il contesto urbanistico e sociale della città.

Mani pulite di 33 anni fa non c’entra, fa parte di un’altra epoca, quella dei “mariuoli”, delle bustarelle, delle bande Bassotti, dei finanziamenti illegali ai partiti.

Tutto partì dall’arresto di Mario Chiesa, socialista, direttore del Pio albergo Trivulzio di Milano. Fu arrestato il 17 febbraio del 1992 mentre prendeva una bustarella di sette milioni di lire. Da quell’episodio lo scandalo si ingigantì coinvolgendo gli altri partiti, con centinaia di arresti anche tra personaggi altolocati. Ci furono anche alcuni suicidi. Erano i tempi della “Milano da bere” in mano ai socialisti, il cui sindaco era Paolo Pillitteri, cognato di Bettino Craxi. I comunisti, alleati, venivano tenuti in disparte con incarichi minori. La loro presenza nella giunta comunale venne descritta molto bene dall’ex deputato Pci, Mario Melloni nella sua rubrica sull’Unità, col titolo Fortebraccio, nella quale scrisse che a “Milano mentre i socialisti festeggiavano nel salotto con champagne, i comunisti in portineria bevevano gazzose”.

Pillitteri nel 1992 fu indagato da Mani pulite e nel ’96 venne condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per il reato di ricettazione di 500 milioni di lire. Come è noto, Craxi anche lui indagato si “ritirò” in Tunisia da dove non rientrò più in Italia.

Quanto accadde 33 anni fa diventò uno scandalo nazionale che sconvolse l’assetto politico a tal punto da far scomparire la Democrazia Cristiana e il Partito socialista.

Fu il fallimento della Prima Repubblica che lasciò in eredità ai cittadini lo scompiglio politico e la confusione delle idee: alle elezioni del ’94 la Lega, che già aveva compiuto i primi passi, ottenne un grande successo. Ma a sorprendere di più fu la nascita improvvisa e la vittoria elettorale del partito di Berlusconi, Forza Italia, da definire come un evento politico senza precedenti nella storia italiana del dopoguerra caratterizzato dalla rapida ascesa al potere del suo fondatore.

In Italia accadde quello che molti anni dopo si è ripetuto con Bolsonaro alla presidenza del Brasile; con Milei a quella dell’Argentina e oggi con Trump. Gli elettori hanno smesso di pensare e accolgono il demiurgo di turno.

Da noi, mentre nel corso degli anni scomparivano i padri della Costituzione, il dibattitto politico si riduceva a scaramucce infruttuose: divenivano evanescenti il potere dei sindacati, del partito guida del proletariato, il Pci, che aveva cambiato nome, l’importanza del Parlamento; le differenze culturali prendevano il posto delle diseguaglianze di classe. A partire dai tempi di Berlusconi sino ad oggi la maggior parte dei ceti popolari ha preferito essere guidata da ricchi magnati, identificandosi nei loro comportamenti. È stata l’avanzata del populismo regressivo e reazionario.

Tornando a quanto accade alla Milano di oggi, il grande affare edilizio, la selva di grattacieli, resterà come una macchia indelebile di vergogna che ha cancellato per sempre la storia di una città operosa e accogliente che meritava un futuro migliore.

Milano ha scelto la verticalità come inno alla modernità, ma la fetta di cielo conquistata sembra riservata a pochi, mentre molte finestre milanesi perdono luce e respiro. I nuovi colossi di vetro e acciaio, spesso replica anonima di stili globalizzati, emergono lontani da una vera identità urbana, e raramente dialogano con la storia o il tessuto locale. Le torri non nascono da una visione complessiva, bensì da logiche speculative, lasciando quartieri così chiamati “rigenerati” freddi, pieni di appartamenti esclusivi, e centri commerciali vuoti di partecipazione civica.

Dietro questo boom edilizio si celano intrecci opachi tra investitori privati e potere pubblico: si moltiplicano le inchieste per concessioni veloci, spesso al di là delle regole urbanistiche, e chi denuncia viene accusato di ostacolare il progresso. I grandi grattacieli non abbassano affatto il consumo di suolo, ma ne aumentano la densità lasciando scie di disuguaglianza sociale: affitti alle stelle, marginalizzazione dei ceti più deboli, spazi verdi relegati dietro facciate di marketing.

Il risultato è una skyline che, pur imponente, appare povera: colori freddi, volumetrie massicce, una scarsa relazione tra torri e contesti residenziali. I cittadini che osservano silenziosi dalle basse case parlano di ombra permanente, perdita di aria e un senso di alienazione. Non è progresso una costruzione che toglie luce dalla vita quotidiana, che sacrifica diversità sociale sull’altare dei profitti.

Milano deve confrontarsi con gli effetti reali di una crescita che sembra godere più della pomposità che del benessere collettivo. Dove il grattacielo è esposto al sole abbagliante delle luci internazionali e molti cittadini restano all’ombra.

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