
Invadono “La Stampa” e non sanno di essere fascisti
Una buona parte dell’opinione pubblica li ha definiti “imbecilli”, oppure ha commentato che «non sapevano ciò che facevano». Ma sono giudizi errati perché quelle parole esprimono attenuanti che non esistono. Sarebbe meglio chiamarli fascisti in erba o squadristi alle prime armi. Mi riferisco a quella banda di giovincelli, che “giocando” a fare i “pro Palestina” hanno assaltato la redazione della Stampa di Torino mettendola a soqquadro, sporcando le pareti di scritti tipo “fack giornalista” o “giornalista sei il primo della lista”, ricordando con quest’ultima espressione uno dei motti delle brigate rosse di un tempo.
Altro che attenuanti, quell’invasione è vergognosa. Non riesco a comprendere cosa passa per le teste di quei ragazzi, penso ci sia un vuoto totale: non leggono i giornali, non seguono le notizie, non hanno mai letto gli articoli su Gaza di Francesca Mannocchi, pubblicati sulla Stampa; non sapevano che proprio quel giornale aveva riportato in prima pagina un titolo con la parola “Genocidio” riferendosi alle stragi compiute da Israele. Il risultato è che il loro operato si è trasformato in un boomerang contro il movimento, quello vero, in favore dei palestinesi.
Non hanno capito il significato di libertà di stampa e del reato di cui si sono macchiati, perché dopo la bravata hanno inviato un messaggio al direttore della Stampa con la scritta “torneremo”. E non ancora contenti, a Roma un paio di altri estremisti “pro Pal” ha imbrattato con la vernice la lapide affissa alla sinagoga di Monteverde, in memoria di Michael Stefano Taché, il piccolo di due anni ucciso nell’ottobre del 1982 in un attentato di terroristi palestinesi dell’Olp. Quei due pro Pal forse non hanno letto le parole della lapide. «Forse considerano la lettura una attività controrivoluzionaria», ha scritto sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini.
Chi ha messo in testa a quei “rivoluzionari” le parole che minacciano i giornalisti, e le altre come “uccidere un fascista non è reato”? Forse dietro di loro si nasconde qualcuno che vuole danneggiare l’immagine ufficiale del movimento Pro pal?
Mi vengono in mente la rivolta studentesca degli Anni sessanta del secolo scorso e la severa reprimenda di Pasolini che diceva “Vi odio cari studenti”. Ma erano altri tempi: allora gli studenti si ribellavano contro qualcosa di concreto, una scuola che si basava ancora sulla riforma Gentile, quella che Mussolini definì “la più fascista delle riforme”.
Su questo gruppo c’è poco da dire se non che sono totalmente ignoranti, ma pieni di protervia e presunzione dispotica. Rappresentano l’estremo di quella atmosfera di odio che ormai da tempo avvolge il nostro Paese.
Le stragi israeliane hanno radici antiche
Ma adesso andiamo in Palestina dove domenica scorsa tre volontari italiani e una canadese dell’associazione Faz3a sono stati aggrediti nella zona di Ramallah da un gruppo di coloni ebrei armati che oltre ad averli derubati di vari oggetti e dei passaporti, li hanno presi a calci e pugni.
Due giorni prima due soldati israeliani avevano ucciso, meglio dire assassinato, due giovani palestinesi che avevano catturato. Erano disarmati e avevano alzato le braccia. Ma in un filmato si vede che gli hanno sparato ugualmente a sangue freddo.
C’è da inorridire e da chiedersi che fine abbia fatto l’umanità tra i militari, membri dell’esercito di uno Stato democratico. Non basta per giustificare Israele quel dieci per cento della popolazione che protesta contro il governo. L’odio e la vendetta ormai dominano in quel Paese che sin dalla sua nascita ha potuto fare in Palestina, e non solo, tutto quello che ha voluto, grazie all’Occidente che lo ha sempre permesso.
Il ricorso alla violenza degli israeliani in quella regione non risale agli ultimi anni, ma iniziò già prima che ottenessero l’indipendenza, il 13 maggio del 1948. I combattenti sionisti dell’Irgun e della Banda Stern assaltavano i villaggi palestinesi per costringerne la popolazione a fuggire. Un esempio: il 9 aprile dello stesso anno nel villaggio di Deir Yassin uccisero più di 200 abitanti tra cui donne e bambini.
In una lettera pubblicata sul New York Times Albert Einstein, Hannah Arendt e altri eminenti esponenti della comunità ebraica statunitense condannarono aspramente il massacro di Deir Yassin e definirono fascisti, nazisti e terroristi nell’ideologia, nell’organizzazione e nei metodi sia Menchem Begin (comandante dell’Irgun, che aveva ordito la strage, sia il partito Tnuat Haherut (il Partito della Libertà), di cui lo stesso Begin era leader. Qualche anno dopo sarà primo ministro, eletto a grande maggioranza.
Netanyahu e la sua banda non sono dunque una novità.


