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Israele “licenzia” i palestinesi e assume indiani

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Un aspetto del conflitto Israelo-Palestinese di cui forse on si parla abbastanza è la sua ricaduta economica. La situazione è certamente catastrofica per le fragili economie dei territori palestinesi della Striscia e della Cisgiordania. Centinaia di migliaia di palestinesi impiegati hanno perso il lavoro, vuoi perché in trappola sotto gli attacchi incessanti dell’esercito israeliano da quasi un anno nella Striscia di Gaza o perché impossibilitati a raggiungere il posto di lavoro a causa di sempre più severe restrizioni alla mobilità introdotte da Tel Aviv e all’aumento della violenza da parte dei coloni in Cisgiordania.

Ma gli effetti del conflitto si fanno sentire anche in Israele. Il suo PIL ha subito un forte rallentamento dopo il picco post-pandemico, con molti settori in difficoltà, tra cui l’high-tech – uno tra i più avanzati a livello globale – ma anche il turismo. Centinaia di migliaia di riservisti israeliani sono stati sottratti alla forza lavoro.

Ma la penuria della forza lavoro, si è fatta sentire soprattutto nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, che dipendono in maniera massiccia dalla manodopera ‘’straniera’ (leggi palestinese).

Per far fronte a questo problema, alla fine del 2023 il governo israeliano si è mobilitato per siglare accordi con diversi Paesi stranieri al fine di ‘importare’ migliaia di lavoratori da impiegare in questi settori. La pratica di utilizzare migranti temporanei per rimpiazzare la manodopera palestinese non è nuova; era stata già usata durante la seconda Intifada (2000-2004).

Una grande amicizia
Uno dei Paesi che ha siglato un accordo con Tel Aviv, è stata l’India. I buoni rapporti tra Modi e Netanyahu sono ben noti. Durante l’era Modi, New Delhi si è avvicinata a Tel Aviv come mai prima.

Secondo gli accordi siglati tra i due Paesi, Israele si impegnava inizialmente ad accogliere circa 42mila migranti temporanei indiani (che potrebbero addirittura diventare 100mila in futuro) da impiegare soprattutto nel settore edile come muratori, fabbri, piastrellisti, stuccatori. Il salario promesso avrebbe dovuto aggirarsi a circa 2 mila euro al mese, una cifra molto al di sopra degli stipendi pagati in India nello stesso settore o nei Paesi del Golfo dove emigrano centinaia di migliaia di Indiani. Non sorprende dunque che quasi 20.000 lavoratori siano già arrivati in Israele dall’India a cominciare dall’aprile scorso.

Sebbene gli indiani siano arrivati in Israele tramite canali governativi ufficiali e dopo aver superato un processo di selezione, sembra che molti di loro si trovino adesso in difficoltà. Imprenditori israeliani sono rimasti insoddisfatti dalle competenze di quei lavoratori, il più delle volte molto giovani e privi di esperienza a tal punto non essere neppure capaci ti tenere un martello in mano.

Molti di essi si sono così trovati improvvisamente senza un lavoro. Ma in giugno, con una mossa inaspettata, il governo di Tel Aviv aveva preso la decisione di permettere loro di essere impiegati in altri settori meno specializzati. Alcuni hanno dovuto accettare lavori più umili e più pesanti (magari di bassa manovalanza) con paghe significativamente più basse. Altri hanno invece deciso di rientrare in India.

L’eterna disoccupazione. Non sarebbe la prima volta che giovani immigrati indiani si trovino in difficoltà una volta raggiunta la destinazione all’estero. Il fatto che molti giovani siano disposti ad andare a lavorare anche in un Paese in guerra e difficile come Israele, non dovrebbe stupirci.

Sebbene il Paese sud-asiatico registri una crescita di PIL ad un tasso da fare invidia a quelli più avanzati, il livello di disoccupazione è altissimo. Nell’anno fiscale 2023-2024 il tasso di disoccupazione in India ha toccato l’8 per cento, il dato peggiore degli ultimi 45 anni, nonostante gli sforzi del governo di investire in settori chiave come il manifatturiero, pubblico impiego e infrastrutture.

Il paese più popoloso del mondo è infatti molto giovane. L’età media supera a malapena i 28 anni. In Italia è di quasi 49 anni. Questo significa che con una popolazione così giovane, l’India ha un’enorme forza lavoro disponibile.

Questo fattore demografico è stato spesso visto come un vantaggio – sia per l’ambizione dell’India di trasformarsi nel nuovo polo manufatturiero mondiale subentrando alla Cina e sia per le vaste rimesse (pari a quasi 3.4% del PIL raggiungendo la cifra di 125 miliardi di dollari, un record mondiale) che il Paese riceve dai suoi cittadini che emigrano all’estero in cerca di lavoro.

Sempre più giovani immigrano seguendo le rotte dei trafficanti alla ricerca di una vita migliore. Ad andarsene sono soprattutto contadini e braccianti senza terra che appartengono alle caste più basse provenienti dalle regioni più povere dell’India. Il numero di immigranti clandestini che entrano negli Stati Uniti e in Canada a piedi per tratte pericolosissime e costosissime è aumentato a dismisura.

Altri, seguendo la promessa di lavoro ben retribuito sono finiti a combattere sul fronte Russo in Ucraina dopo un sommario addestramento. La tragica morte a Latina di Satnam Singh, l’operaio 31enne lasciato morire dal proprio datore di lavoro, ha rivelato le piaghe dell’immigrazione illegale indiana in Italia.

Ridurre l’alto tasso di disoccupazione è una priorità per l’India. Non dimentichiamoci che la mancata creazione di sufficienti posti di lavoro durante il decennio Modi è stato uno dei fattori che ha contribuito ad una performance negativa del Primo ministro alle elezioni del maggio scorso.

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