La pietà muore a destra
Giorni fa un giornale di destra del Nord Italia pubblicava in prima pagina una foto di migranti sorridenti e festosi, forse sulla nave che li aveva salvati. Il titolo era: ”Loro si divertono e gli italiani pagano”. È inutile citare quel giornale perché ce ne sono altri due della stessa tendenza e tutti uguali nello stravolgere la realtà. Esprimono compatti l’atteggiamento del governo e di una buona parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’immigrazione. Nel loro modo di pensare non esistono parole come solidarietà e pietà.
Non si divertiva nel Magreb il migrante Benengue Nybilo Crepin, detto Pato, la cui moglie Fato con la figlia Marie, di sei anni, sono morte di stenti e di sete al confine tra Libia e Tunisia. Lo abbiamo visto mentre dal deserto veniva ripreso alla TV nel programma Il Cavallo e la Torre, presentato da Marco Damilano.
Pato ha raccontato che era fuggito con moglie e figlia – provenivano dalla Costa d’Avorio – dal campo di raccolta in Tunisia, più giusto definirlo un lager. Vengono raggiunti dalla gendarmeria che allontanano lui e portano via la moglie e la figlia. Qualche giorno dopo Fato e Marie vengono trovate morte. Le foto dei due corpi fanno il giro del mondo. Pato chiede aiuto all’UNHCR, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, che risponde picche.
Anche in Italia i campi di raccolta sono diventati dei lager circondati da barriere di filo spinato. Se qualche immigrato vuole uscirne, deve pagare allo Stato una somma di 5.000 Euro, una tangente imposta dal governo che gli sarà restituita solo quando verrà decisa la sua sorte: accolto o respinto. A questo proposito è stato chiesto il parere di Salvini il quale ha risposto: ”Hanno scarpe, telefonino e orologi”. Quindi, secondo lui, il denaro del riscatto dovrebbero averlo nascosto nelle scarpe o vendendo l’orologio… magari un Rolex.
Pietà l’è morta, dice un canto partigiano della Resistenza. Ma non per la senatrice berlusconiana Micaela Biancofiore, che ha dato inizio a una particolare battaglia di solidarietà per… la sua cagnolina Peggy che, ormai di veneranda età, ha bisogno di cure. Vuole che venga cambiato il regolamento che vieta di introdurre cani e gatti in Parlamento in modo che durante le sedute, lei possa portare con sé la vecchia Peggy. Giorni prima la senatrice si era occupata anche di migranti proponendo di costruire un’isola galleggiante in acque internazionali su cui traferire quelli privi del diritto di entrare in Italia.
Siamo arrivati a questo punto: una parentesi di ridicolo in una immane tragedia, quella dell’immigrazione che la Meloni non riesce ad affrontare se non con la sindrome del complotto. È in realtà un alibi, una furbizia per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dai tanti problemi che gravitano sul Paese. Pertanto il raddoppio del numero di immigrati rispetto al 2022 sarebbe stato provocato da “un complotto straniero e dalla magistratura italiana” che a Catania e Firenze ha respinto l’ordinanza di espulsione per quattro migranti tunisini.
Per la presidente del Consiglio i complottisti sono dappertutto, tra l’opposizione, la stampa, la magistratura, le istituzioni costituzionali. Mi vengono in mente altri tempi, quando il duce attribuiva le cause dei problemi dell’Italia alle “potenze demoplutocratiche” e al “disfattismo degli antifascisti”.
Post scriptum
La strage di Mestre. Rubo ancora un po’ di spazio per segnalare un nuovo esempio della estesa competenza di Salvini su tutti i rami dello scibile. Chiesta la sua opinione di ministro dei trasporti sul terribile incidente di Mestre, ha subito dichiarato alla TV: “Non è stato un problema di guard-rail, ma della trazione elettrica dell’autobus”. È stato subito smentito dai fatti: i tecnici del Comune di Venezia hanno dichiarato che sono in corso i lavori per sostituire la barriera vecchia di 60 anni, fuori norma e arrugginita. Inoltre il bus ha preso fuoco dopo l’impatto col suolo cosa che sarebbe accaduta con conseguenze peggiori se il motore del mezzo fosse stato a combustione interna, cioè a benzina. Mi domando ancora una volta: “Perché lo lasciano ancora parlare?”
Copertina: foto di un campo profughi in Grecia (Amnesty International)