
La sceneggiata napoletana della Meloni
Vi immaginereste Angela Merkel che quand’era cancelliera tedesca, si fosse messa a saltellare gridando “Chi non salta con me comunista è”; e se lo avessero fatto anni prima anche la britannica Thatcher, o le italiane Tina Anselmi o Rosy Bindi?
A Berlino e a Londra sarebbe scoppiato un finimondo con richieste di dimissioni immediate. Ma non è mai accaduto, come anche in Italia fino a quando non ha esordito la Meloni. Nelle democrazie il mondo politico in generale si è sempre ben guardato dal ricorrere ad exploit di questo genere non degni della autorevolezza e del decoro di chi lo rappresenta. La parentesi di Trump riguarda la psicanalisi.
Eppure da noi è accaduto ma senza provocare scalpore durante l’ultima campagna elettorale regionale: a Napoli la presidente del Consiglio ha fatto il saltarello accompagnata dal ministro degli Esteri Tajani e da tanti altri piccoli e grandi leader della destra. È stato uno spettacolo volgare, rozzo, i cui “attori” hanno dimenticato la dignità dei loro ruoli abbandonandosi a una manifestazione carica di grossolanità e superficialità degne delle curve degli stadi. Peraltro hanno dimenticato anche che i comunisti sono scomparsi da tempo.
In certi momenti della vita pubblica il peso del ruolo dovrebbe imporsi da sé, e invece abbiamo assistito a un episodio che ha stonato più di qualsiasi slogan. Vedere la presidente del Consiglio saltellare come se assistesse a una partita di calcio, accompagnata da un “chi non salta con me…”, ha dato l’impressione di una grave leggerezza fuori luogo.
Non si tratta di negare la spontaneità, ma di ricordare che chi ricopre una carica istituzionale non parla mai solo per sé: rappresenta un Paese intero. Quel gesto, più vicino a una tifoseria improvvisata che a un comportamento istituzionale, ha mostrato una disinvoltura che stride con la responsabilità che dovrebbe guidare ogni sua apparizione pubblica. In tempi complessi, la dignità del ruolo non è un optional: è un dovere. E quella esibizione l’ha messa nettamente in ombra.
Comunque l’exploit preelettorale non è servito a ricevere più voti: la maggioranza degli elettori napoletani non ha gradito lo spirito di quei pagliacci in erba. Di comici rispettabili ne hanno avuti tanti e di grande rilievo nella vera “commedia napoletana”. Un’eccezione ne hanno fatta quei novemila che hanno votato per Gennaro Sangiuliano, l’ex ministro della Cultura che nonostante la sua prova fallimentare da membro del governo accompagnata da una sbandata sentimentale che lo aveva costretto alle dimissioni, ha avuto il coraggio di presentarsi come consigliere regionale. Vi è riuscito nonostante la sua ridicola campagna elettorale. Evidentemente quegli elettori hanno pensato che fosse un comico professionista.
Per quanto riguarda i risultati elettorali, il confronto si è concluso in parità (3 a 3) a parte la Val d’Aosta dove l’Union Valdotaine, da decenni sempre il primo partito, ha cambiato bandiera e si è alleata con Fratelli d’Italia. Una svolta irrilevante per un fazzoletto di terra con 122 mila abitanti noto soprattutto per il turismo di montagna e per la Fontina.
Nelle sei regioni più importanti sono state rispettate le previsioni, gli schieramenti saranno quelli di prima. Eppure qualcosa è cambiato: le riflessioni e i commenti tra i politici all’interno di due blocchi contrapposti si sono capovolte. Il pessimismo del centrosinistra si è tramutato in ottimismo, non solo per i pochi voti in più conquistati e la tenuta della coalizione, ma anche per una visione molto più certa sul futuro elettorale.
A destra è accaduto il contrario e lo spiega bene con sincerità Giovanni Donzelli, uno dei portavoce di FdI: «Se si votasse oggi – si riferisce alle future elezioni politiche – non ci sarebbe la stessa stabilità che abbiamo ora». Parole chiare.
Ne è anche una delle prove il saltarello dei leader, che manifestava un vuoto di idee e di intenti che gli elettori non si aspettavano, soprattutto nel Sud. Anche per questo l’assenteismo elettorale è crollato al 43,6%.
In Veneto la destra ha dato ottimi risultati – però inferiori al passato – perché il voto è andato non tanto alla coalizione, ma a Zaia, per il suo buon lavoro negli anni di presidenza. È inutile che Salvini inneggi alla vittoria; il merito non è suo.
In realtà a destra si sono resi conto che dal carro dei vincitori qualcuno è già sceso.


