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La strage in Palestina e la complice indifferenza

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Se Hamas tre settimane fa avesse liberato i sei giovani ostaggi israeliani che invece ha ucciso, avrebbe dato una prova di saggezza, non dico di umanità perché da quelle parti questa parola è stata cancellata da tempo. Sarebbe stata una carta in suo favore da porre sul tavolo delle trattative con Israele, un segnale di magnanimità che i governi e l’opinione pubblica dell’Occidente avrebbero ben accolto.

Invece sono stati assassinati a sangue freddo, dopo 330 giorni di prigionia, per un calcolo pieno di cinismo: aumentare le proteste degli israeliani contro il premier Netanyahu e il suo governo.

E vi sono riusciti perché appena diffusa la notizia dell’assassinio degli ostaggi, lo sciopero generale ha paralizzato Israele. Il Paese si è fermato: dalle industrie agli uffici, dai mezzi pubblici all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dai negozi ai caffè e ai ristoranti.

Ma sembra sia servito a poco perché Bibi (è il nomignolo del premier) continua a “tirare dritto” ignorando le proteste di una buona parte dei cittadini e inviando delle semplici e distratte “scuse” ai parenti degli ostaggi uccisi e di quelli ancora in vita.

Lui va avanti con la guerra di rappresaglia spronato dai fanatici ortodossi del suo governo. I civili morti a Gaza sarebbero 50 mila, uno ogni cinquanta rispetto alle vittime israeliane del 7 ottobre. Un rapporto di cinque volte superiore a quello delle rappresaglie naziste della seconda guerra mondiale.

Ma non è contento: oltre a bombardare anche i civili del Libano, “per colpire i siti degli Hezbollah”, ha portato il terrore tra i palestinesi della Cisgiordania, violando gli accordi di Oslo del ’93. Vi ha imposto il coprifuoco totale inviando militari e carri armati che hanno sparso il terrore dovunque: le vittime tra la popolazione sono più di 600. Anche tra i vertici dello Stato democratico di Israele, la parola umanità ha perso ogni significato.

Altro che “soluzione dei due Stati”, proposta dall’ONU nel 1948 e ripresa in seguito tante volte per porre fine a questa guerra eterna. Netanyahu, il suo governo e i 700 mila coloni ebrei in Cisgiordania vogliono la completa annessione della regione occupata durante la guerra del 1967, cioè l’intera Palestina e cacciare, (chissà dove?) il popolo palestinese.

Col terrore viene da tempo costretto ad abbandonare la propria terra: da quando Netanyahu governa, vengono usati tanti pretesti come avvenne già nel 1948 nei primi giorni dell’indipendenza. Anche a quei tempi gli israeliani usarono la forza cacciando 750 mila abitanti arabi dai villaggi e dalle città.

Usarono anche le armi come avvenne nel villaggio di Deir Yassin dove 120 componenti israeliani della Banda Stern – comandata dal futuro premier Begin – massacrarono più di 100 civili, anche donne e bambini.

È indubbio che sin da allora Israele ha dovuto combattere tre guerre per la sua esistenza e anche oggi gli islamici più fanatici ne vogliono la distruzione. L’ Iran in testa alimenta le bande terroriste di Hamas, degli Hezbollah e degli Huthi.

Eppure dopo la guerra del Kippur del 1973 tra arabi e israeliani iniziò un lento cammino verso la pace che portò con gli accordi di Camp David del 1978 al riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto, per arrivare alla storica svolta di Oslo del ’93 con la quale tra Olp e Israele fu firmata la pace.

Oggi l’Olp si è dissolta tra corruzione e incapacità, lasciando il potere ad Hamas; l’accordo di Oslo è stato ignorato dalla destra di Netanyahu e dall’Occidente; i negoziati per una tregua tra Israele e il movimento terrorista sono in alto mare. I due fronti non la vogliono: Netanyahu la teme perché porterebbe alla caduta del suo governo; Hamas teme di perdere il potere sul popolo palestinese e l’appoggio dell’Iran.

Si rischia una escalation che in realtà è già incominciata col feroce intervento israeliano in Cisgiordania e con l’estensione del conflitto nel Libano la cui popolazione è sopraffatta dal terrore degli Hezbollah.

Da un lato non cessano le provocazioni dei due movimenti terroristici, dall’altro Israele continua a lanciare bombe sulla popolazione inerme.

E l’Occidente non interviene se non con le parole. Il segretario generale dell’ONU Guterres continua a chiedere “di fermare il massacro dei civili”; il vice presidente della Commissione europea, Borrell, afferma “che le leggi di guerra vanno rispettate”; il procuratore generale della Corte dell’Aja chiede l’arresto immediato di Netanyahu. Parole che cadono nel vuoto mentre il massacro continua e gli Stati Uniti non interrompono l’invio di armi a Israele.

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