Le illusioni perdute dopo il Muro di Berlino
La guerra in Ucraina e i massacri in Palestina di questi giorni ci hanno fatto trascurare una data molto importante, forse la più importante del secolo passato: il 9 novembre del 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino. Quella data ha rappresentato un momento storico di grande importanza per la Germania e per il mondo intero. Il crollo di questo simbolo della divisione tra Est e Ovest e la scomparsa del comunismo sovietico hanno risvegliato molte speranze di pace, libertà, democrazia e integrazione tra i popoli.
Alcune di queste speranze si sono realizzate, come la riunificazione della Germania, la fine della Guerra fredda, la scomparsa della Cortina di ferro, la nascita di nuovi Stati indipendenti. Però la fine dei conflitti, la diffusione dei diritti umani, la riduzione delle disuguaglianze e la cooperazione internazionale non si sono realizzate. Il Muro di Berlino non era solo una barriera fisica, ma anche un confine ideologico, culturale e politico.
Questi ultimi ideali purtroppo vengono tuttora calpestati in tutto il mondo. Quanto accade in Ucraina e da più di un mese in Medio Oriente hanno confermato la dissoluzione di tutte le speranze di allora per un futuro migliore. Tra quella storica data del 1989 e oggi non c’è stata mai pace, anzi le guerre sono diventate più cruente coinvolgendo intere popolazioni.
Eppure l’inizio era stato promettente. A metà del 1990 il presidente americano George H.W. Bush (senior) propose all’omologo Michail Gorbačëv, l’artefice della “grande svolta”, un nuovo ordine mondiale di cooperazione tra americani e russi contro attacchi esterni. La risposta fu positiva e i due leader firmarono due trattati, uno sulla riduzione degli armamenti convenzionali, l’altro sulle armi strategiche nucleari.
Il cammino della distensione proseguì con la fine ufficiale della Guerra fredda decisa dalla “Carta di Parigi” del novembre dello stesso anno, a conclusione del vertice sul futuro dell’Europa cui parteciparono anche gli Stati satelliti dell’Unione Sovietica.
Il documento descriveva nei particolari il riassetto geopolitico di tutte le nazioni del continente compresa l’URSS, nel rispetto dei principi della democrazia liberale dell’Occidente. Gorbačëv firmò senza esitare la Carta. “La avevamo formulato in modo che non ci fossero sconfitti né vincitori”, commentò il presidente americano.
Ma lontano da Parigi già soffiavano venti di guerra estranei a quanto accadeva in Europa. Si era appena concluso il decennale conflitto tra Iran e Iraq – bilancio: un milione di vittime – quando il dittatore iracheno Saddam Hussein aveva ordinato l’invasione del Kuwait. Fallite le trattative sul ritiro, gli Stati Uniti con l’assenso dell’ONU e l’intervento dei Paesi della NATO, attaccarono l’Iraq costringendolo a suon di bombardamenti ad abbandonare il Paese invaso. L’esercito iracheno venne distrutto dando via libera agli alleati di raggiungere Bagdad. Ma Bush preferì evitare l’attacco finale: ritenne che la fine di quel regime avrebbe portato il caos nel Paese, cosa che avvenne quando dopo Clinton il figlio di Bush, eletto presidente, dette inizio, nel 2003, alla seconda guerra del Golfo. Ma prima di arrivare a questo episodio ci sono stati altri memorabili passaggi.
Tornando all’Europa, i pronostici geopolitici “del dopo Muro” si realizzarono in parte attraverso le cosiddette “rivoluzioni di velluto”, cioè col distacco pacifico dall’URSS (ormai in liquidazione) dei Paesi satelliti e di alcune Repubbliche sovietiche: Estonia, Lettonia e Lituania si ripresero l’indipendenza che Stalin aveva soffocato con l’annessione dei tempi del patto Ribbentrop – Molotov; seguirono Ucraina, Bielorussia, Moldavia e altre ancora.
Il sogno di Gorbačëv di creare una Federazione democratica era svanito. Il presidente dell’ex URSS aveva problemi di politica interna da affrontare che si conclusero con uno strano tentativo di golpe, le sue dimissioni e l’elezione alla presidenza della nuova nazione, non più sovietica, di Eltsin. Il Paese si avviò verso l’occidentalizzazione e il primo simbolo fu l’apertura di un grande McDonald’s sulla Piazza Rossa. Il primo giorno la coda dei clienti in attesa di esser serviti raggiunse un chilometro.
Si occidentalizzarono anche gli ex alti funzionari del PCUS, che venne sciolto, trasformatisi in breve tempo in oligarchi con l’aiuto di alcuni economisti USA arrivati a Mosca con l’intento di insegnar loro le regole della finanza occidentale. Impararono presto e con l’aiuto di Eltsin si impossessarono delle ricchezze del Paese e del potere. Intanto Putin, un ex piccolo funzionario del KGB (il famigerato servizio segreto, anch’esso in liquidazione) iniziò la scalata verso i vertici governativi. Gli oligarchi gli aprirono la strada, credendo che fosse un personaggio tranquillo da manipolare, portandolo alla successione di Eltsin. Ma sbagliarono perché Putin una volta eletto presidente non ha più mollato il potere ed ora è lui a manipolare i suoi protettori.
Nel frattempo l’Occidente si allargava ad Est: gli ex satelliti dell’URSS entravano nell’Unione Europea e nella NATO che proponeva la partecipazione anche alla Russia di Putin già divenuta membro del club del G7 (divenuto G8).
La fine del comunismo non fu invece incruenta nella Jugoslavia che si dissolse tra sanguinose guerre e delitti contro l’umanità.
Nel frattempo dall’altra parte del Mediterraneo tra Medio Oriente e Africa arrivavano segnali di una catastrofe sociopolitica da paragonare alle bibliche “piaghe d’Egitto”. Sotto le ceneri della guerra civile in Libano, dell’annoso problema israelo palestinese e della militarizzazione dell’Islam con radici nell’Iran di Khomeini, covavano le fiamme di una nuova tragedia che colpì anche l’occidente. Oltre alla “vecchia OLP” (Organizzazione per la liberazione della Palestina) nacquero diversi movimenti terroristici islamici ancora più feroci che intervennero in nome della Jjhad, la guerra santa contro gli “infedeli”.
Tra questi Al Quaeda, guidato dal ricco saudita Osama Bin Laden e finanziato dalla CIA per aiutare la guerriglia in Afghanistan contro le truppe sovietiche che la invasero a fine 1979. Col ritiro dei russi Bin Laden rimase “disoccupato” e lanciò la Jihad contro gli USA e l’Occidente.
L’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre del 2001, fu organizzato e rivendicato da lui; il numero delle vittime fu superiore a quello di Pearl Arbour del dicembre del 1941 compiuto dai giapponesi. Gli americani chiedevano vendetta e questa arrivò per volere del loro presidente George Bush, figlio del più saggio predecessore della prima Guerra del Golfo.
Il “giovanotto” se la prese con l’Afghanistan e l’Iraq di Saddam Hussein che ospitavano terroristi e inoltre accusò facendo “carte false” il secondo di preparare la bomba atomica. Non era vero tanto più che la centrale nucleare di Osirak era stata bombardata e distrutta dagli israeliani anni prima.
Pertanto con la seconda Guerra del Golfo gli USA invasero prima l’Afghanistan, poi l’Iraq per “portarvi la democrazia”. In realtà venne alimentato il terrorismo islamico che dichiarò guerra anche all’Europa provocando stragi tra la popolazione: dalla stazione Hatocha di Madrid, alle stragi parigine di Charlie Hebdo e del Bataclan; quelle di Nizza, di Londra, di Bruxelles e altre ancora.
Infine oggi l’Europa ha una guerra in casa, nella confinante Ucraina, voluta da Putin per “uscire dall’accerchiamento dell’Occidente”. Insieme a quanto sta accadendo in Palestina, il rischio di un conflitto più allargato, diciamolo pure, di una terza guerra mondiale non appare molto lontano.
Concludo con un aforisma di Bertold Brecht: La grande Cartagine combatté tre guerre. Dopo la prima era ancora potente. Dopo la seconda era ancora abitata. Dopo la terza non esisteva più. Si riferiva forse al futuro della Terra?
Copertina: L’attacco alle Torri gemelle di New York – Foto dal Sito della Comunità Ebraica di Milano