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Le percentuali tra “bottiglia e damigiana”

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Quando ci sono delle elezioni ho l‘abitudine di piazzarmi davanti al televisore con carta e penna per attendere i risultati. Potrei anche non farlo, ma la curiosità e l’interesse professionale mi hanno condizionato da tanto tempo, come dei tatuaggi indelebili. Quindi non mi muovo dalla TV e passo da un canale all’altro per conoscere i primi risultati e quelli successivi, sorbendomi anche le ore di pubblicità.

Ma è una noia: i dati arrivano sempre con molto ritardo e nelle lunghe attese devo ascoltare i commenti degli esperti, dei colleghi giornalisti, di qualche politologo e alcuni politici di scarso rilievo.

L’atmosfera degli studi televisivi che li ospitano, ricorda la sala d’attesa di un medico o di un dentista dove i pazienti attendono da ore di essere chiamati e per ingannare il tempo parlano del più e del meno scambiandosi spesso fesserie. E poi ci sono i corrispondenti i quali, pressati dai direttori o dai conduttori, aggiungono altre notizie inutili.

Dopo ore arrivano scarsi exit poll e la proiezione del risultato di uno o due seggi su migliaia non ancora scrutinati. Alla fine vado a dormire e la mattina dopo ascolto alla radio i dati ancora incompleti; poi vado a comprare i giornali sui quali le notizie sono ancora più scarse perché le tipografie chiudono nella nottata. Nel corso della giornata finalmente il quadro dei risultati diventa quasi completo.

Questa volta le attese sono state più lunghe a causa delle elezioni europee alle quali, in Italia, si sono aggiunte quelle di 3.700 comuni. Nel nostro Paese i ritardi sono sempre di gran lunga superiori rispetto alle altre nazioni. Seguono i tempi della burocrazia. Ricordo che quando lavoravo in Germania ai primi degli Anni Ottanta, i risultati elettorali arrivavano nella sala stampa della Cancelleria due ore dopo la chiusura dei seggi ed erano quasi completi. Eppure i computer di allora non erano efficienti come quelli di oggi.  

Per quanto riguarda il voto europeo, questa è forse la prima volta che ha destato grande interesse: era previsto che le estreme destre avrebbero ottenuto qualche progresso, ma non che il successo avrebbe raggiunto una valanga di voti tale da provocare timore e insicurezza in tutta la UE oltre a sconvolgere il mondo politico francese e tedesco.  

In Francia il Rassemblement National, di Marine Le Pen, diventa il primo partito col 31%, mentre il Renaissance, di Macron, ha appena il 14. Di fronte a quest’ultima batosta il presidente ha sciolto l’Assemblée National e indetto le elezioni politiche per il 30 giugno. Ma ha annunciato che non si dimetterà.

In Germania un altro terremoto: i socialdemocratici del Cancelliere Scholz hanno ottenuto il minimo storico col 14,5% superati dai neonazisti dell’AFD. Questi, con il 16,5 % diventano il secondo partito dopo il Cristiano democratico. I voti dell’estrema destra provengono quasi tutti dalla ex Germania Est e non è un caso: i Länder liberati e annessi dopo la caduta del Muro, restano i più arretrati della Germania, come se il comunismo sovietico, che li ha dominati e imprigionati per decenni, abbia cancellato per sempre dalle loro menti la parola “democrazia”.

Nonostante i danni del “terremoto”, nel Parlamento europeo la vecchia “maggioranza Ursula” (popolari, liberali e socialisti) ha tenuto, ma è incerto il ritorno della Von der Leyen alla guida della Commissione. Rimane anche l’incertezza per il gruppo parlamentare a cui aggregare la Meloni per evitare una sua eventuale alleanza con gli estremisti.

Il voto in Italia.  Non ci sono dubbi sui successi di Fratelli d’Italia, del PD e della batosta dei 5Stelle. Ma la vittoria dei primi due è una “vittoria di Pirro” perché riguarda soltanto il confronto delle percentuali. Infatti non sono state prese in considerazione le affluenze che nel ‘22 e nel ‘19 erano superiori a quelle di oggi.

«Il 30 per cento di una bottiglia di olio non è la stessa cosa dell’analoga percentuale di una damigiana», spiega sul Corriere della Sera Walter Veltroni, il quale aggiunge che in cinque anni la partecipazione elettorale, meno del 50%, è scesa di sei punti e, rispetto al 2009, di quindici.

Nessuno ha tenuto conto dei numeri assoluti e cioè delle persone che hanno votato. In realtà il PD ha avuto un incremento reale di 238.000 voti, non di un milione; Fdl ne ha persi 615.000 e la Lega 337.995.

«Gli elettori sono esseri umani non riducibili alla conta delle percentuali», scrive Veltroni che è stato l’unico a confermare su un grande giornale quanto era stato espresso sui social da alcuni cultori della matematica e della verità. “Tanto rumore per nulla” si potrebbe definire l’entusiasmo per le “vittorie” di FdI e PD, parafrasando la commedia di Shakespeare.   

Il calo costante della partecipazione al voto dipende dal fatto che gli elettori sono “disillusi, arrabbiati e frustrati”. Ma non è giusto attribuirne la colpa soltanto ai partiti politici. Sono tanti i cittadini che appartengono alla categoria del “popolo bue”, privo di senso civico e malato di ignavia.

Terminato lo spettacolo elettorale, ne è iniziato un altro, quello tra gli ulivi e un resort di gran lusso e di pessimo gusto della Puglia. È il G7 i cui attori, i cosiddetti Grandi, dovrebbero risolvere, azzoppati dai loro affari interni, i gravi problemi del Mondo. Affrontano una enorme posta in gioco con in mano pessime carte. Speriamo serva la presenza del Papa.

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