Libano, un territorio per le guerre altrui
Il Re Bomba. Durante una delle ultime manifestazioni in Italia sulla strage di Hamas che ha colpito la popolazione di Israele e la rappresaglia dei bombardamenti a tappeto su Gaza, tra i vari striscioni ne è passato quasi inosservato uno che accompagnava un corteo di Napoli. Portava una caricatura del premier israeliano con la scritta Netanyahu u’ ministro bomba.
Quella scritta ricordava re Ferdinando II di Borbone, re di Napoli, che nel 1848 per reprimere una rivolta dei siciliani, fece bombardare Messina radendola al suolo. I siciliani non dimenticarono: lo chiamarono Re bomba e dodici anni dopo accolsero con entusiasmo Garibaldi e i “Mille” sbarcati a Marsala.
Il premier Netanyahu, incurante delle critiche dell’ONU e del presidente USA Biden, ha deciso di “andare avanti fino in fondo nonostante le pressioni internazionali”. Ha inoltre minacciato pesanti contromisure sul Libano se i terroristi di Hezbollah che ne occupano il territorio di confine, continueranno a lanciare missili contro Israele. Già da un mese si susseguono scambi di colpi sulla frontiera. Alcuni giorni fa aerei israeliani hanno bombardato il villaggio di Kfar Kila distruggendo postazioni dei terroristi, ma hanno anche provocato vittime tra la popolazione civile.
Il Libano è la piccola nazione che confina a Nord di Israele, che suo malgrado dal lontano 1975 è divenuta un territorio dove si combattono le guerre degli altri. Gli Hezbollah armati dall’Iran, occupano la parte meridionale del Paese e ne condizionano la vita civile. Sono molto più potenti del piccolo esercito libanese e di altri eserciti dei Paesi arabi. Durante la rivolta in Siria sono andati in soccorso del dittatore Bashar al Assad per reprimerla. Sono dunque ben allineati col potere dittatoriale e integralista del Mondo arabo.
Un tempo il Libano era considerato la “Svizzera del Medio Oriente” e ancor prima della nascita dello Stato d’Israele, l’unica nazione democratica tra i Paesi arabi, con una moderna costituzione che si basava sulla multietnicità della sua popolazione. Sotto il Mandato della Francia insieme alla Siria dopo la resa dell’Impero ottomano alla fine della prima Guerra mondiale, ottenne la piena indipendenza nel novembre del 1943. Lo stabilì il governatore che ufficialmente dipendeva dal governo di Vichy, ma che aderì alla “France libre” di De Gaulle.
Dal censimento di quell’anno, risultò che la popolazione (800.000 abitanti) era per il 53% cristiana, il 44% musulmana. Inoltre tra i cristiani la maggioranza era di fede maronita; seguivano a distanza i greco ortodossi, i cattolici romani e i protestanti. Tra l’altro risultavano 4500 cognomi italiani di cittadini libanesi, discendenti dai fondatori delle piccole colonie commerciali risalenti alle Repubbliche marinare.
I musulmani erano divisi in sunniti, sciiti, kurdi e drusi. Questi ultimi, la cui dottrina molto complessa, con elementi cristiani ed ebraici, venivano considerati dagli stretti seguaci di Maometto, eretici ed infedeli. Difatti i drusi cittadini in Israele possono entrare nelle forze armate.
I libanesi un tempo erano molto rispettosi verso la propria costituzione perché permetteva a tutte le religioni del Paese e ai partiti politici di avere rappresentanti ai vertici dello Stato. In base alla legge, ai cristiani spettava la presidenza della Repubblica; agli islamici sciiti la carica di primo ministro; ai musulmani sunniti di presidente del parlamento; il comando delle forze armate ai drusi. Tra i partiti politici c’erano anche quelli socialista e comunista. L’arabo e il francese sono le lingue ufficiali.
Il Libano partecipò alla prima guerra araba del 1948 contro lo Stato di Israele appena nato, ma alla conclusione firmò subito un armistizio duraturo, cosa che non fecero gli altri Paesi aggressori.
E così questa Repubblica di fatto neutrale, grande poco più della Lombardia, estesa su una fascia lambita dal Mediterraneo lunga 250 chilometri e larga al massimo una settantina, poté svilupparsi economicamente seguendo le orme dei suoi antenati, i fenici che abitavano quella regione già 2000 anni prima dell’avvento di Cristo.
La Storia di questo Paese lo indica come il crocevia tra il mondo islamico e cristiano e in particolare nei rapporti con la Francia e l’Italia. Con quest’ultima le radici risalgono alla penetrazione commerciale pisana, veneziana e genovese. A tutt’oggi l’Italia è il primo partner commerciale.
Il Libano è stato un esempio di tranquilla convivenza tra i suoi abitanti e grazie a questa peculiarità è stato il centro della finanza del mondo arabo e un ponte che favoriva i rapporti tra questo e l’Occidente: Beirut, divenuta in pochi anni una metropoli ha ospitato tra i suoi grattacieli, banche e rappresentanze commerciali, un turismo di lusso. Ha anche fatto da tramite tra le due culture: il sito archeologico di Baalbeck, uno dei più importanti e meglio conservati del Medio Oriente ha fatto per anni da sfondo ai concerti di musica classica e operistica ospitati dal Festival internazionale conosciuto in tutto il mondo.
La ricchezza di Beirut era alimentata anche dal contrabbando di armi e la sua autonomia politica aveva attirato lo spionaggio internazionale. Per esempio vi aveva soggiornato a lungo come giornalista l’inglese Kim Philby, agente dei servizi britannici. In realtà sin dagli Anni trenta lavorava per il KGB sovietico e nel 1963, sapendo di essere stato scoperto, fuggì rocambolescamente da Beirut per essere accolto con tutti gli onori a Mosca. Nella sua autobiografia descrisse molto bene la Beirut di quei tempi.
Poi quasi all’improvviso nel 1975 erano scoppiati Les évenéments (gli avvenimenti), una definizione che i libanesi hanno dato alla sanguinosa guerra civile durata 15 anni e che ha cancellato la pacifica convivenza di questo popolo che oggi è ridotto alla miseria.
La causa degli “eventi” proviene dalla vicina Giordania e risale al 1970 quando re Hussein decide di far sloggiare dal Paese le migliaia di profughi palestinesi insieme alla sede dell’OLP con in testa Arafat. Il sovrano aveva compreso che la massa di profughi e il centro della guerriglia avrebbero condizionato pericolosamente la vita del Paese.
Scoppiò un breve ma sanguinoso conflitto che venne chiamato “Settembre nero”, dal mese in cui avvenne. Due milioni di palestinesi, Arafat e l’OLP, si trasferirono in Libano e il Paese fu costretto ad accoglierli su pressioni della Lega Araba e le minacce della Siria, allora molto amica dell’URSS.
Ci fu uno scontro tra cristiani e musulmani che accese la miccia della guerra civile. I primi furono aiutati da Israele e dagli Stati Uniti, i secondi ebbero l’appoggio diretto dell’OLP. A rimetterci di più furono i profughi palestinesi che subirono stragi nei loro campi. Da ricordare quello di Tall al Zaatar, commesso dalla falange cristiana (10.000 morti) con l’appoggio delle “truppe di pace siriane”; il secondo di Sabra e Chatila del 1982 (altrettante vittime) sempre ad opera della Falange, ma questa volta durante l’occupazione israeliana del Libano i cui soldati non intervennero per bloccare la strage.
La guerra civile terminò nel 1990, ma il Libano nonostante la ricostruzione di Beirut non ha ottenuto la pace, il benessere e la democrazia di una volta. L’OLP non esiste più e l’esistenza del Paese dipende dagli Hezbollah. Oggi al confine con Israele agisce una forza di dissuasione dell’ONU che comprende anche militari italiani, ma è insufficiente.
Ho citato il Libano perché anche questo Paese ha dovuto subire il problema dei palestinesi, un popolo, quest’ultimo, vittima dello scaricabarile tra mondo arabo, potenze occidentali e la intransigenza estrema di Israele.
Copertina: Com’era il centro di Beirut durante la guerra civile