L’Italia che calpesta i diritti umani
La Corte di giustizia Europea ha ripetutamente condannato l’Ungheria per violazione dei diritti umani ricevendo di conseguenza sanzioni economiche dalla UE.
L’Italia “culla del diritto”, come l’ha definita banalmente in Parlamento il ministro degli Esteri Tajani, cosa fa per Ilaria Salis? Praticamente niente. E’ una “culla” vuota di diritti che ha subìto tante sanzioni sempre per violazione dei diritti umani a tal punto da essere la seconda, dopo la Turchia per numero di condanne: a partire dal 1959 (anno di nascita di quel tribunale) sono state 2mila 383.
Le condanne riguardano la durata eccessiva dei processi e l’inosservanza delle norme processuali; le condizioni delle carceri sovraffollate; con l’aumento dell’immigrazione anche la detenzione degli immigrati nei cosiddetti centri di accoglienza che in realtà sono dei lager pari a quelli che esistono in Libia.
Quello di Milano, posto sotto sequestro e riaperto di recente, mesi fa era stato ispezionato da un magistrato accompagnato da alcuni medici e dalla guardia di finanza. Vi hanno trovato cibo immangiabile e avariato; spazzatura ed escrementi umani dovunque; malati gravi privati di ogni tipo di cure; servizi igienici malridotti e spesso senza acqua corrente.
Nel centro di Ponte Galeria (nei pressi di Roma), alcuni giorni fa un giovane proveniente dal Gambia si è suicidato. Era venuto in Italia per lavorare e poter mantenere i due fratelli rimasti in Africa, ma vista l’impossibilità di trovare un lavoro e di uscire dalla “detenzione”, aveva chiesto di rientrare in patria. Gli era stato negato proprio da un governo che proclama di “rimandare a casa gli immigrati”.
Anche la Giustizia ha ricevuto condanne dalla Corte e non solo per la durata eccessiva dei processi ma anche per gli arresti a lungo termine di persone poi ritenute innocenti: dal 1992 a oggi i casi superano i 30 mila.
È emblematico l’episodio di Beniamino Zuccheddu, un pastore sardo, uscito dal carcere dopo aver trascorso tra le sbarre 33 anni da innocente. Era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso tre persone. Grazie all’intervento di una procuratrice di Cagliari il processo di revisione in corte d’appello lo ha assolto “per non aver commesso il fatto”.
I giudici hanno accolto le richieste del procuratore generale che durante la requisitoria ha stabilito che l’unico testimone a carico, Luigi Pinna, aveva dichiarato il falso. Lo stesso Pinna, presente al processo ha ammesso di aver sbagliato: «L’agente che conduceva le indagini mi aveva mostrato la foto di Zuccheddu affermando che era lui il colpevole e io gli ho dato ragione», ha confessato.
Di fronte a una così evidente ingiustizia, è possibile che i magistrati di allora non abbiano avuto qualche dubbio? E che cosa si può dire della loro coscienza e di quella del poliziotto?
Questa storia ricorda, seppur avvenuta in circostanze diverse, l’attentato di Piazza Fontana a Milano, quando il questore Marcello Guida mostrò la foto di Valpreda al tassista Rolandi prima che questi indicasse ufficialmente di aver portato l’accusato davanti alla Banca dell’attentato. Si voleva cercare non il colpevole ma un capro espiatorio.
Allora ci fu una grande mobilitazione dell’opinione pubblica appartenente a tutte le classi sociali contro quell’ingiustizia e contro le verità nascoste sui veri autori dell’attentato commesso da neofascisti.
L’Italia di allora era molto diversa da quella di oggi: il fascismo minacciava realmente il Paese dove i posti chiave del potere erano occupati ancora da personaggi del regime come il questore Guida – ex direttore del confino di Ventotene – o il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, che nel 1964 aveva tentato un golpe.
Nell’Italia degli Anni sessanta la marcia del boom economico continuava mentre una buona parte della popolazione reclamava i propri diritti: la classe operaia era forte e combattiva, guidata da una sinistra ben organizzata; gli intellettuali e gli artisti lavoravano per il miglioramento della società; uscivano libri di grandi scrittori che raccontavano la vita e le miserie di tutti i giorni del nostro Paese avvolto da una nube clericale, con uno sguardo benevolo verso il passato regime; i nostri registi erano tra i migliori nel cinema mondiale e le sale di proiezione erano sempre piene.
Oggi la letteratura italiana è cambiata; i libri più venduti sono i gialli made in Italy, tutti uguali che ripetono la formula creata da Andrea Camilleri: il commissario bravo e buono, il poliziotto scemo ma fedele, quello intelligente e umano. Personaggi e ambientazioni opposte alla realtà.
Allora la società rifletteva e si faceva sentire. Oggi invece le masse manovrabili si sono moltiplicate; si chiudono nelle loro abitazioni dove i contatti con l’esterno sono la televisione e i social. C’è voluto il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi per riempire le sale cinematografiche e sentire gli applausi del pubblico. Ciò significa che la gente può uscire dal letargo quando le viene offerta l’occasione.
Anche dal mondo politico ci si aspetterebbe un impulso verso il cambiamento e il progresso del Paese. Invece da quella parte tutto è fermo da tempo: la politica è ridotta a scaramucce personali staccate dalla società. Con tutto quello che accade in Italia la Schlein, segretaria del PD, si è ridotta a un risibile sit in con scarso seguito, contro l’occupazione della Rai da parte del governo.
Da questo quadro desolante escono quasi sempre notizie di cronaca nera: femminicidi, stupri, carceri sovraffollate e decine di suicidi tra i detenuti, risse tra bande di giovani, accoltellamenti, aggressioni a presidi e professori da parte dei genitori degli allievi. I gravi episodi delle scuole si ripetono continuamente mostrando una assurda aggressività dei padri e delle madri. Che cosa potrà insegnare questa gente ai propri figli se non prepotenza e bullismo? Siamo ormai un Paese in decadenza senza più un’anima con una plebe sbandata priva della speranza di un futuro migliore.
Copertina: Foto Giustizia Insieme.it