
Marche: la frana del campo largo
Le pesanti notizie provenienti dalla politica internazionale e dagli avvenimenti della Striscia di Gaza, hanno posto in un angolo quanto accade in Italia e soprattutto sull’esito del primo match delle elezioni regionali. Invece la batosta ricevuta dalla sinistra nelle Marche con otto punti in meno delle destre è da sottolineare per la sua gravità.
Il Campo largo è stato un fallimento; quei numeri da sommare che avrebbero dato la certezza della vittoria del PD e dei suoi alleati sono venuti meno. Insomma la politica non si può fare con il pallottoliere, ma con alleanze costruite seriamente e idee che smuovano gli elettori disaffezionati al voto o che seguono senza riflettere le sirene degli avversari.
La leader dei PD Elly Schlein ha molto deluso nei suoi interventi nella regione: ha pronunciato lunghi discorsi su Gaza, sicuramente affrontando un tema importante, ma dimenticando che alle “regionali” i cittadini preferiscono ascoltare temi locali come i servizi, la sanità, le infrastrutture, l’economia della regione.
La sconfitta del centrosinistra ha acceso un intenso dibattito interno al PD e alla coalizione del “campo largo”. Il centrodestra ha vinto con un margine netto, capitalizzando su un territorio storicamente oscillante ma sempre più orientato a destra. Il Partito Democratico, insieme agli alleati, non è riuscito a costruire un’alternativa convincente né a mobilitare pienamente l’elettorato.
Uno dei principali bersagli dell’autocritica è la gestione della campagna elettorale da parte della segretaria Elly Schlein. Le critiche interne evidenziano una comunicazione debole, poco centrata sulle reali priorità del territorio, e una scelta di candidati percepita come calata dall’alto. Inoltre, l’assenza di un messaggio unificante e la frammentazione delle forze progressiste hanno compromesso la credibilità del progetto.
Penso che la Schlein, non sia adatta a mantenere la dirigenza del partito e trattare con le altre opposizioni: proviene da un altro mondo, non conosce le masse e non sa affrontarle. La sua unica battaglia che ha avuto successo è stata quella di accordarsi con i 5Stelle sul campo largo, ma un risultato negativo di questa alleanza lo abbiamo visto lunedì scorso e speriamo che non si ripeta in Puglia e Campania.
L’alleanza con i 5 Stelle, pur auspicata, è apparsa forzata e priva di contenuti condivisi. Lo hanno confermato i voti persi nelle Marche dal movimento che ha ottenuto appena il 5,1% contro il 9,7 delle europee e il 13,6 delle politiche del 2022. I suoi elettori non si sono scomodati per recarsi al seggio e votare il candidato del Pd Matteo Ricci.
Anche il PD ha perso voti: è sceso dal 25,1% delle regionali del 2020 al 22,5 di questi giorni. E non è più il primo partito della regione, superato da Fratelli d’Italia che è passato dal 18,7% di cinque anni fa al 27,4. Eppure la precedente amministrazione di destra presieduta da Francesco Acquaroli, oggi rieletto, era stata scadente (dati alla mano) soprattutto nella sanità.
La destra ha puntato su un candidato forte e su temi chiari come sicurezza, sanità e lavoro, le solite parole vaghe non avvalorate dai fatti che però il popolino raccoglie con l’abituale istinto illusorio del “Flauto magico”.
Ormai il pensiero politico delle masse rimane vago: la metà degli elettori non va più a votare e l’altra metà preferisce la destra. La colpa principale è dei partiti e di una democrazia degenerata. La gente non crede più nel Parlamento, pertanto si accontenta di pochi slogan e promesse sperando che “sia la volta buona”.
Inoltre una opposizione inesistente che non lavora tra la gente, non riesce a contrastare le “sirene” degli avversari. I sorrisi a tutti i denti della Schlein non bastano. Nel frattempo il Paese in mano alle destre si avvia verso un regime reazionario. Gli interventi della Meloni ne sono un esempio.
Torno a Lombroso: «È la fisiognomica della democrazia degenerata: ogni epoca ha il capo che si merita».