
Palestina, l’umanità perduta
Finalmente ho potuto vedere il film documentario No Other Landche la Rai si è decisa a trasmettere. Adesso ne scrivo qualcosa non per fare una recensione ma per manifestare il mio stato d’animo di fronte a una storia documentata di ingiustizia, di sopraffazione, di violenza usata in modo illegittimo per opprimere e violare i diritti di persone innocenti e indifese.
Provo un dolore che faccio fatica a contenere. Vedere famiglie palestinesi costrette a lasciare le proprie case, le proprie colline, i propri ricordi, come se quei legami potessero essere spostati con la violenza di una ruspa o con il peso di un’ordinanza, mi ha scosso profondamente. È stato come assistere a una ferita che non riguarda solo un popolo, ma l’idea stessa di giustizia, di umanità, di appartenenza.
Quelle immagini hanno aperto uno scenario drammatico dal quale non è possibile distogliere lo sguardo. Ho visto volti che cercano di rimanere dignitosi anche mentre tutto ciò che hanno viene demolito. Ho visto la fragilità e, allo stesso tempo, la forza di chi resiste senza armi, armato soltanto della volontà di continuare a vivere sulla propria terra. E questa fragilità mi ha toccato più di qualsiasi discorso politico.
Nel collegare queste storie a ciò che accade a Gaza, il dolore si amplifica per la sofferenza di civili innocenti, la distruzione sistematica, la precarietà quotidiana di chi non sa se vedrà un nuovo giorno. Non riesco a rimanere indifferente davanti a tanta disumanità.
Mi sento profondamente deluso dallo Stato d’Israele, un Paese che, nato dal trauma della persecuzione, pensavo avesse fatto dell’esperienza del dolore un impegno verso la tutela della dignità umana.
Vedere invece che a un altro popolo viene negato quel diritto fondamentale — il diritto alla casa, alla sicurezza, alla vita stessa — mi provoca smarrimento e tristezza.
Non esprimo questo dolore per alimentare divisioni o odio. Lo esprimo perché credo che la compassione non abbia confini e che la sofferenza di un popolo non possa essere ignorata. Ogni ingiustizia, dovunque avvenga, pesa su tutti noi.

Torniamo al film prodotto artigianalmente da un collettivo di giovani israeliani e palestinesi, premiato nel 2004 al Festival di Berlino e l’anno dopo con l’Oscar. Due grandi riconoscimenti. Ed è importante ricordare che le riprese iniziarono nel 2019 e terminarono nel ’23, quindi molto prima della strage del 7 ottobre commessa dai banditi di Hamas contro il popolo israeliano.
Eppure è stato contestato soprattutto in Germania: alcuni deputati della democristiana CDU lo hanno definito antisionista. Un’affermazione ridicola perché il sionismo non c’entra. La distruzione dei villaggi palestinesi motivata dagli israeliani per “esigenze militari”, è una falsità perché quei terreni, come tanti altri, servono per costruire insediamenti per i coloni, cosa che avviene da anni. È in realtà una forma di piccolo imperialismo che ricorda le grandi colonizzazioni spagnole nelle Americhe e quelle successive dei britannici, degli olandesi e dei portoghesi in altre parti del mondo.
Anche i coloni israeliani con l’appoggio dell’esercito assaltano i villaggi palestinesi, aggrediscono gli abitanti, pastori, contadini e giovani presi a caso. Come avveniva negli Stati Uniti col Ku klux klan.
I due principali autori del film, l’israeliano Yuval Abraham e il palestinese Basel Adra, alla cerimonia di Berlino avevano fatto le seguenti dichiarazioni. Il primo aveva detto: «Io e Basel Adra, abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra pochi giorni torneremo in una terra dove non siamo uguali. Io sono sottoposto al diritto civile, Basel al diritto militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io posso votare, Basel no. Io sono libero di andare dove voglio, Basel come milioni di palestinesi è rinchiuso nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid tra di noi, questa disuguaglianza, deve finire».
Basel aveva poi proseguito dicendo:«La mia comunità, la mia famiglia hanno filmato la cancellazione della nostra società per mano di questa occupazione brutale. Sono qui che celebro questo premio, ma mi è molto difficile mentre migliaia di palestinesi vengono trucidati a Gaza. Masafer Yatta, la mia comunità, viene rasa al suolo da bulldozer israeliani. Chiedo soltanto una cosa alla Germania, visto che mi trovo qui a Berlino, di rispettare la volontà dell’ONU e smettere di mandare armi a Israele».
La volontà dell’ONU? Ormai nessuno la rispetta, a partire da Israele che occupa la Cisgiordania dal 1967 dopo la vittoria della guerra dei “sei giorni”. Dopo l’occupazione le Nazioni Unite con la risoluzione 478, ingiunsero allo Stato Ebraico di ritirarsi da quella regione ma non lo ha fatto e inoltre ha occupato anche il settore arabo di Gerusalemme, città che nel 1947 fu definita dall’ONU “distretto sotto controllo internazionale”. Nel 1980 Israele ha dichiarato la città capitale dello Stato, una posizione mai riconosciuta dalla comunità internazionale. L’ha riconosciuta Trump appena eletto alla presidenza spostando l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme.
La pace a Gaza, tanto decantata dal presidente americano non esiste: rimane una tregua incerta, spesso violata da Israele e Hamas. Il destino dei palestinesi rimane sospeso mentre gli accordi di Oslo tra il premier Rabin e Arafat vennero osteggiati dalla destra conservatrice e reazionaria del Likud che considerò la pace come un pericolo, quello di dover abbandonare i territori occupati.
Rabin venne assassinato dal “giovane fanatico” Ygal Amir, ma chi c’era dietro di lui, chi lo aveva spinto a commettere quel delitto? La risposta la dettero le elezioni politiche successive quando la maggioranza degli israeliani votò per la estrema destra.

Trailer ufficiale di “No Other Land”
https://www.youtube.com/watch?v=XUsgLip_eoY


