Quale futuro per l’Europa?
Quale sarà il destino dell’Europa lo sapremo tra lunedì e martedì con i risultati elettorali. Nel momento in cui scrivo è difficile fare pronostici, ma dal voto anticipato dei Paesi Bassi, i primi dati danno una maggiore affluenza rispetto al 2019. Da allora tante cose sono cambiate: la crisi politica dell’Unione è molto evidente e le critiche sono aumentate come anche le tendenze dell’opinione pubblica che in molti Paesi si sono spostate a destra, verso i partiti populisti e antieuropeisti che chiedono, Italia in testa, “meno Europa”.
Non so come si siano svolte le campagne elettorali nelle altre nazioni, ma su quanto è accaduto nel nostro Paese c’è da inorridire: più di un confronto politico tra le parti si è trattato di una lunga guerra di parole, promesse, insulti, sino ad arrivare ad attentati verbali contro la Costituzione e colui che ne è il garante, il Presidente Mattarella.
I padri dell’Europa Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, che scrissero il Manifesto di Ventotene, l’isola in cui erano stati confinati dal fascismo, forse oggi rimarrebbero delusi per l’incompleta realizzazione del loro progetto che a quei tempi con la guerra in corso veniva considerata un’utopia. Ma grazie a Spinelli e il Movimento federalista da lui creato quell’utopia si trasformò in una realtà: Alcide De Gasperi insieme ai politici francesi Schumann e Monnet, il belga Spaak, il tedesco Adenauer, divennero i costruttori dell’Unione Europea di oggi. Nel 1949 nacque il Consiglio d’Europa, nel ’51 la CECA (Comunità del carbone e dell’acciaio) che comprendeva Italia, Germania Ovest, Francia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. Nel ’57 a Roma i “Sei” firmano la nascita della CEE e dell’Euratom.
Nel 1975 passati da sei a nove, i Paesi della Comunità si accordano a Schengen sulla libera circolazione dei loro abitanti e sul passaporto unico europeo. Nel 1992 col trattato di Maastricht la CEE diventa Unione Europea ed entra in vigore il mercato unico. Nel 2002, con il numero degli aderenti aumentato, l’Euro diventa la valuta unica per 12 Paesi ad eccezione della Gran Bretagna che più tardi nel 2020 uscirà dall’UE con un costo che metterà in crisi la sua economia.
Oggi il percorso verso un’unione più coesa tra le nazioni aderenti (diventate 27) si è fermato: la politica costruttiva che dovrebbe portare alla nascita di una vera Federazione viene ignorata, lasciando il posto agli egoismi nazionali e dando più spazio alle politiche finanziarie.
Gli ideali dei padri fondatori che favorirono lo sviluppo della Comunità, sono stati trascurati dai loro successori molti dei quali hanno pensato al benessere del proprio Paese. È esemplare il comportamento della Germania, un tempo la “locomotiva” dell’Unione, che con la severità della Merkel portò alla fame il popolo della Grecia in crisi. Poi la Cancelliera, ormai in pensione, se ne pentì.
Sempre la Germania non fece una bella figura con lo scandaloso comportamento del predecessore della Merkel, il socialista Gerhard Schroeder, che due settimane dopo le dimissioni si fece assumere come alto dirigente della società russa Gazprom.
E poi gli egoismi e l’inefficienza verso il problema dell’immigrazione; le barriere create dalla Croazia, dall’Ungheria e dalla Polonia; i silenzi verso i Paesi che hanno adottato le cosiddette “democrature” che soffocano la libertà dei propri cittadini.
È mancato un vero governo che imponesse il rispetto dei principi fondamentali dell’Unione e che esercitasse una politica estera comune. Nelle attuali crisi internazionali – le guerre in Ucraina e in Medio Oriente – l’Europa è rimasta in silenzio agganciandosi sempre di più al carro della NATO.
Se pensiamo che come rappresentante dell’UE per la regione del Golfo Persico è stato nominato nel 2023 Luigi Di Maio, già noto come inefficiente vicepremier italiano, poi miracolato come ministro degli Esteri, possiamo dedurre che ormai l’Europa non possiede più personaggi autorevoli da scegliere. È invece generosa nel regalare poltrone.
Oggi con queste elezioni non si parla di programmi costruttivi per il futuro, ma di alleanze tra popolari, liberali e partiti di estrema destra, considerando i socialisti come dei rivoltosi bolscevichi. I candidati italiani al Parlamento europeo scelti dal governo di destra, sono in gran parte degli sconosciuti che non hanno potuto ottenere poltrone di comando nelle istituzioni nazionali o per fare un favore agli amici degli amici. Che ne sanno loro dell’Europa? E questo accade anche per gli altri Paesi?
“Non c’è futuro per i popoli europei se non nell’Unione”, aveva dichiarato decenni fa Paul Monnet. E in questi giorni ben 359 milioni di cittadini sono stati chiamati a decidere sul loro futuro. Tra questi ci sono 23 milioni di giovani che votano per la prima volta. In Italia sono 2 milioni e 800mila. Si pensa che ne andrà a votare soltanto la metà.
Eppure l’Europa nel corso della sua esistenza ha dato molto ai suoi giovani. Il programma dell’Erasmus, nato nel 1987 ha permesso a 15 milioni di studenti di frequentare gratis le università straniere. Dal 2014 è stato esteso anche alle scuole superiori. Nel 2021 l’UE ha stanziato 26 miliardi di euro in borse di studio per 10 milioni di studenti. E poi ci sono altre facilitazioni come l’offerta ai diciottenni del biglietto gratuito interrail valido un mese, per visitare i Paesi dell’UE. L’elenco degli aiuti ai giovani non finisce qui.
I benefici offerti dall’Europa sono tanti. L’Italia è stata privilegiata nell’ottenere i 250 miliardi del PNRR e 30 miliardi per le regioni del Sud. Se poi queste risorse non vengono utilizzate, di chi è la colpa? Non certo della UE.