Conservare la memoria
La perdita progressiva della memoria è comunemente associata all’avvento della vecchiaia. Dopo una certa età i ricordi più vecchi svaniscono per lasciare posto ai più recenti. Così almeno succede alla maggior parte delle persone.
Perdiamo ciò che è difficile ricordare o che per noi non è più importante: una poesia mandata a memoria, una formula matematica complessa, le istruzioni degli elettrodomestici, i nomi di persone conosciute e perse, le date di fatti remoti, i nomi di luoghi visitati nel passato, i titoli dei libri letti troppo tempo fa. La caratteristica comune di tutte queste cose, in relazione al loro sfuocare e svanire dalla memoria, è la loro scarsa relazione con il nostro presente.
Possiamo dividere le cose che dimentichiamo in due gruppi. Tendiamo a dimenticare ciò che non fa più parte della nostra vita (nomi, fatti, luoghi e persone del passato) e questo, in un certo senso, è normale. Ma dimentichiamo anche ciò che non si inserisce nel corpo organico delle nostre conoscenze e che perciò non capiamo, in breve ciò che è nozionistico, e cioè ogni notizia superficiale, frammentaria, non approfondita né organica che riguardi fatti o dati. L’Enciclopedia Treccani definisce la cultura nozionistica come una “conoscenza fondata su un complesso di nozioni, di mere notizie non approfondite né sinteticamente elaborate e organizzate”. In un certo senso, perderla è normale e anche salutare. Spurghiamo le conoscenze usa e getta che sono diventate inutili.
A partire dai primi anni del secolo scorso, però, i casi di demenza senile e in particolare di Alzheimer (il cui primo sintomo è, appunto, la perdita della memoria) sono aumentati in misura vertiginosa. In Italia oggi ne soffrono almeno 600.000 persone, più del 4% della popolazione sopra i 65 anni. Nel 2007 si contavano oltre 25 milioni di casi in tutto il mondo, la maggior parte dei quali nei paesi del primo mondo.
Da cosa dipende la crescente diffusione delle patologie legate alla perdita parziale o totale della memoria? La scienza medica non fornisce spiegazioni ovvero ne fornisce diverse, ognuna delle quali, pur volendo spiegarne le cause, finisce per descrivere solo alcune delle circostanze particolari in cui si verifica.
Eppure una spiegazione possibile c’è ed è sotto gli occhi di tutti. Di fronte a essa le possibili cause organiche della malattia diventano concause, circostanze che ne favoriscono l’insorgenza e lo sviluppo, allo stesso modo in cui, secondo la medicina omeopatica, una debolezza organica complessiva si riversa sugli organi più deboli del corpo facendoli ammalare. A lungo termine è inutile curarli senza intervenire sulle cause della debolezza organica.
Approfondire, elaborare e organizzare le informazioni significa inserirle in un corpo organico (e cioè connesso alla nostra esperienza sensibile) di conoscenze. Se le informazioni acquisite non hanno una relazione diretta e continuativa con la nostra vita e cioè se non servono a qualcosa di materiale, pratico, sensibile, prima o poi le perdiamo. Ma perdiamo anche la memoria di ciò che, pur essendoci utile, non capiamo: e quante cose, oggi, capiamo veramente? Quanta parte della nostra cultura non è altro che un insieme di dati elementari, superficiali e non approfonditi, riconducibili a conoscenze specifiche? In questo insieme rientra tutto ciò che riguarda gli strumenti senza i quali, oggi, sarebbe quasi impossibile vivere: computer, televisori, smartphone, telefonini, reti. Sapere come farli funzionare non significa sapere come funzionano: possiamo capire come funziona un martello, una caffettiera, un accendino, un trapano, addirittura un motore a scoppio; possiamo intuirne struttura e dinamica a senso, a partire dalle loro funzioni e, se avessimo a disposizione gli strumenti adatti, forse li potremmo addirittura costruire; ma non possiamo fare la stessa cosa con i prodotti dell’industria digitale. Con loro siamo nella condizione di Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere, quando cercano inutilmente di capire il funzionamento dello sciacquone.
La nostra è prevalentemente una cultura nozionistica. Apprendiamo troppe cose che non capiamo e che riguardano o hanno a che fare con cose che non ci appartengono.
Ricordare ciò che non è legato alle nostre esperienze sensibili significa mandarlo a memoria e ripassarlo spesso. Ogni giorno ascoltiamo, vediamo, impariamo cose nuove, e quasi tutte richiedono uno sforzo di questo tipo. Una fatica troppo grande, non perché la nostra mente non sia in grado di recepire, approfondire e organizzare ciò che siamo costretti a imparare, ma perché non siamo in grado di capirlo e di dominarlo o, meglio, perché non lo dominiamo e quindi non lo capiamo. Possiamo solo accettarlo e mandarlo a memoria. La maggior parte delle cose che crediamo di scegliere, in realtà le possiamo solo accettare. Così la nostra memoria è continuamente sollecitata ad apprendere ciò che non possiamo capire. Uno sforzo grande e abnorme, che giustifica qualsiasi cedimento, dalla piccola dimenticanza all’Alzheimer. In un certo senso siamo in balia dei nostri strumenti.
Ovviamente ciò non significa che dovremmo smettere di usarli: non potremmo neanche volendo. Però possiamo limitarne l’uso quanto più possibile, stabilire una soglia da non oltrepassare, iniziare, almeno nel nostro piccolo, una progressiva e costante decrescita tecnologica. Possiamo cercare di riprendere contatto con la nostra vita sensibile, con le sensazioni e le emozioni dirette, senza mediazioni, preferendo una visita a una telefonata, un libro a un film, una passeggiata a un viaggio in macchina, le corte distanze alle lunghe, ciò che si può fare e apprendere direttamente senza l’aiuto di internet al click che ci dice tutto e che ci spedisce a casa quello che vogliamo; in due parole privilegiando sempre e comunque la nostra intelligenza applicata a quella artificiale, perché nasce dalla nostra vita, non dal sapere collettivo raccolto e sintetizzato da un server, e perciò si arricchisce e si modifica quando è necessario, non per seguire il mercato nella sua smania di realizzare nuovi profitti.
La memoria è un riflesso della vita: se la maggior parte della vita non ci appartiene, mantenerla è difficile. Riappropriarsi della vita significa anche riappropriarsi della memoria.