
Il canto curativo
Sono sempre stata una dormigliona, ma ultimamente mi trovo a risvegliarmi prima dell’alba, in quel momento sospeso in cui il buio non è più notte ma nemmeno ancora giorno. Mi giro e mi rigiro nel letto in compagnia dei miei pensieri, finché non si svegliano anche loro: gli uccellini. All’inizio è solo un cinguettio isolato, poi si unisce un secondo, un terzo, fino a diventare un vero e proprio carillon naturale: un invito gentile a essere presente. E così, quello che all’inizio sembrava un fastidio si è trasformato in un privilegio, un momento speciale durante il quale posso stare in ascolto di una dolce melodia e lasciarmi cullare da essa.
Questo contatto involontario con il risveglio della Natura mi ha portata a riflettere su quanto essa influisca sul nostro benessere e, indagando un poco, ho scoperto come questa idea non si tratta di un’impressione romantica o ancestrale, ma anche la scienza continua a prodigarsi per sottolineare come il legame tra esseri umani e Natura sia e permanga una certezza.
Uno dei pionieri in questo ambito è Howard Frumkin, medico ed epidemiologo statunitense, nato a Seattle (Washington) nell’ottobre del 1955 che ha dedicato la sua carriera a studiare le connessioni tra salute ambientale e salute umana. Frumkin è attualmente professore emerito di Scienze della salute ambientale presso l’Università di Washington e, a partire dagli anni ’90, ha progressivamente spostato il suo interesse dalle patologie di origine chimica e cancerogena all’impatto dell’urbanizzazione sulla salute del pianeta e dell’essere umano: la sua visione si è evoluta verso la necessità di andare “oltre la tossicità” per salvaguardare il benessere e la salute mentale attraverso un maggiore contatto con la Natura. Questo percorso ha culminato nell’affermazione del concetto di “Salute Planetaria” (Planetary Health), una disciplina che riconosce come la salute umana sia intrinsecamente dipendente dalla salute degli ecosistemi terrestri. La distruzione progressiva del pianeta, dovuta a cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e sfruttamento intensivo del suolo, ha infatti effetti negativi diretti sulla nostra salute, sia fisica che mentale.
La Salute Planetaria parte da una consapevolezza semplice e rivoluzionaria: la salute dell’essere umano non può prescindere da quella degli ecosistemi che lo ospitano. Non possiamo stare bene in un mondo malato. L’inquinamento dell’aria, il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, l’eccessiva urbanizzazione… tutto questo non ha solo un impatto sul clima o sulle specie animali ma ha effetti diretti su di noi, sul nostro corpo, sulla nostra mente. Non è un caso che il disturbo d’ansia, la depressione e il senso di disconnessione siano oggi in aumento, soprattutto nelle città, dove il contatto con la Natura si è drasticamente ridotto.

Le ricerche di Frumkin e di numerosi psicologi ambientali hanno evidenziato una vasta gamma di benefici derivanti dal contatto con la Natura, dimostrando, infatti, che l’esposizione al verde rigenera l’attenzione e favorisce il recupero dalla fatica mentale e fisica. Tra i benefici più significativi per la salute mentale si annoverano la riduzione di ansia, depressione e stress, un miglioramento dell’umore, della qualità del sonno e delle funzioni cognitive, inclusa la memoria e l’attenzione. Persino il solo contatto visivo con elementi naturali, come alberi da una finestra, può migliorare il decorso di una malattia nei pazienti ospedalizzati. Teorie come la Stress Recovery Theory (SRT) e l’Attention Restoration Theory (ART) spiegano i meccanismi alla base di questi benefici, sottolineando come la Natura, con i suoi stimoli piacevoli e non dispendiosi a livello mentale, permetta al nostro cervello di riposare e rigenerarsi.
Eppure viviamo in un tempo che ci allontana da tutto questo e la maggior parte della popolazione mondiale abita oggi in contesti urbani, spesso in appartamenti senza verde, trascorrendo gran parte del tempo al chiuso. I bambini, che un tempo correvano nei boschi e nei prati, oggi interagiscono più con schermi che con alberi. Questo, a lungo andare, ha un costo, non solo individuale, ma collettivo.
Per fortuna, qualcosa si muove. Studi innovativi, come quelli condotti dal team del King’s College London con l’app Urban Mind, ci stanno aiutando a comprendere meglio l’impatto dell’ambiente urbano sulla salute mentale. Grazie alla tecnologia, è possibile raccogliere dati in tempo reale sull’umore delle persone e metterli in relazione con ciò che le circonda. L’applicazione Urban Mind è stata progettata per superare i limiti degli studi tradizionali, che spesso si basano su ricordi retrospettivi o osservazioni a bassa risoluzione spaziale e temporale. Tale applicazione si è proposta su sistemi operativi iOS e Android e ha reclutato partecipanti a livello globale dal 2018 al 2023. Dopo un questionario iniziale sulla demografia, lo stato socioeconomico e la storia della salute mentale, ai partecipanti venne chiesto di fornire tre valutazioni giornaliere per 14 giorni, per un totale di 42 valutazioni.
Un elemento chiave della metodologia è stata la geolocalizzazione tramite GPS delle valutazioni ricevute, che ha permesso di collegare le risposte individuali ai database esterni, come i modelli meteorologici e i livelli di inquinamento atmosferico (PM2.5).
I risultati hanno fornito intuizioni significative sull’interazione tra l’ambiente urbano e il benessere mentale, tra cui:
- il contatto con elementi naturali specifici come uccelli, alberi, piante e acqua è stato associato positivamente al benessere mentale, con benefici che persistono anche dopo l’incontro iniziale fino a 8 ore. Gli ambienti con una maggiore varietà di caratteristiche naturali (alta diversità naturale) sono risultati correlati a un maggiore benessere mentale;
- è stata osservata un’associazione statisticamente significativa tra gli incontri con la vita degli uccelli e miglioramenti nel benessere mentale, sia immediati che duraturi nel tempo. Questi benefici sono stati riscontrati sia in individui con diagnosi preesistente di depressione che in quelli senza;
- il sovraffollamento umano percepito e le misure oggettive di alta densità di popolazione tendono a esacerbare il senso di solitudine. Al contrario, l’inclusività sociale e il contatto con la natura sono risultati associati a una riduzione della solitudine. E’ stata così evidenziata un’importante interazione: il contatto con la natura migliora gli effetti positivi dell’inclusività sociale sulla riduzione della solitudine;
- contrariamente alle aspettative, lo studio non ha trovato un’associazione immediata statisticamente significativa tra l’esposizione a PM2.5 (particolato fine) e il benessere mentale momentaneo. Questo suggerisce che l’impatto del PM2.5 sulla salute mentale potrebbe essere più un effetto cumulativo a medio o lungo termine, derivante da percorsi biologici cronici (come l’infiammazione), piuttosto che una risposta immediata a stressor ambientali. La temperatura non ha modificato in modo coerente l’impatto immediato del PM2.5.
In sintesi, ciò che parrebbe emergere è chiaro: più Natura significa maggiore benessere. Più verde, più canto degli uccelli, più luce naturale, più possibilità di incontrarsi in spazi belli e vivi… tutto questo ci fa bene.
Ma non basta saperlo: serve agire, ripensando le città, gli spazi pubblici, sanitari, le scuole. Serve creare ambienti in cui il verde non sia un lusso ma un diritto, un elemento imprescindibile del nostro vivere quotidiano. Serve educare, fin da piccoli, alla relazione con la Terra. Non come qualcosa da possedere o sfruttare, ma come una presenza viva, da rispettare e da cui imparare. I bambini dovrebbero essere incoraggiati a sviluppare un rapporto migliore e più profondo con il mondo naturale, attraverso una maggiore esposizione e una guida adulta. Gli spazi per bambini, come camerette o scuole, dovrebbero essere progettati per favorire il contatto con la Natura.
Le pratiche che si basano su questo rapporto esistono da millenni, come ad esempio il Shinrin-Yoku, il “bagno di foresta” giapponese, che oggi è diventato anche una terapia riconosciuta in ambito medico, o all’ortoterapia, che attraverso il contatto con le piante favorisce la cura e la relazione. Anche la semplice ma potente esperienza di camminare in silenzio in un bosco, sentendo che la nostra mente si placa, che qualcosa dentro di noi si riallinea, può essere essa stessa una pratica curativa.
In un tempo di crisi ecologica e psicologica, il ritorno alla Natura non è un passatempo, ma una necessità. È una forma di cura. È un atto politico. È un modo per riconoscere che siamo parte di qualcosa di più grande, che i nostri risvegli insonni, i nostri battiti accelerati, il nostro bisogno di pace sono voci della stessa urgenza che ci parla attraverso il canto degli uccelli.
E allora forse, la prossima volta che ci sveglieremo prima dell’alba, potremo accogliere quel momento non con ansia, ma con gratitudine. Potremo ascoltare i richiami della Natura come un invito a tornare a casa, dentro e fuori di noi. Potremo capire, nel silenzio di quel risveglio, che prendersi cura del mondo è il primo passo per prenderci cura di noi stessi.


