
Il potere della gentilezza
Quando si parla di gentilezza, spesso si pensa a piccoli gesti quotidiani come un sorriso, una parola o un gesto premuroso, un atto disinteressato magari verso uno sconosciuto. Nella prospettiva della Psicologia Positiva, la gentilezza è molto più di questo e viene considerata una vera e propria forza, una virtù che, insieme all’amore e all’intelligenza sociale compone quella che Martin Seligman e Christopher Peterson definiscono la “virtù dell’umanità”: un’attitudine profonda, che si manifesta nel prendersi cura degli altri con empatia, rispetto e autenticità.
La Psicologia Positiva nacque come risposta al paradigma patologizzante della psicologia tradizionale e si occupa proprio di studiare il benessere, la resilienza, le potenzialità umane. Tra i suoi principali promotori c’è Martin Seligman, che nel 1999 diede vita, insieme a Christopher Peterson, a un progetto ambizioso: costruire una classificazione scientifica delle virtù e delle forze del carattere, analoga a quanto fanno il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) o l’ICD (Classificazione internazionale delle malattie, incidenti e cause di morte – International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) per i disturbi mentali.
Il risultato fu il volume “Character Strengths and Virtues: A Handbook and Classification” (2004), una sorta di “manuale delle sanità” che ha restituito dignità scientifica allo studio delle qualità umane positive. Frutto di un’approfondita analisi interculturale e storica, il manuale ha identificato sei virtù universali condivise da culture e religioni differenti: saggezza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza e trascendenza.
A queste virtù sono associate altre 24 forze del carattere, come la curiosità, la perseveranza, la speranza, l’umiltà… e, appunto, la gentilezza. Ogni forza è stata definita secondo criteri rigorosi: deve essere universalmente apprezzata, avere valore morale intrinseco, produrre benessere e avere un opposto non auspicabile.
La gentilezza, in particolare, è considerata una delle forze centrali della virtù dell’umanità, insieme all’amore e all’intelligenza sociale, e viene definita come la capacità di offrire tempo, cura, attenzione, senza aspettarsi nulla in cambio. Ma non è solo una questione etica e mentale, ma è anche una risorsa psicofisica potentissima.

Diversi studi scientifici (tra cui quelli condotti da Lyubomirsky, Layous e Sheldon) hanno mostrato che compiere atti gentili aumenta il benessere soggettivo, riduce i sintomi depressivi, migliora l’umore, riduce lo stress, aumenta la soddisfazione per la propria vita e migliora la qualità delle relazioni. Inoltre, chi pratica regolarmente gentilezza sembrerebbe avere un sistema immunitario più forte, una pressione sanguigna più stabile ed una maggiore longevità. Le neuroscienze confermano che quando siamo gentili, il cervello rilascia dopamina, ossitocina e serotonina, creando un vero “helper’s high” che nutre chi dona forse ancor di più di chi riceve.
Da qualche tempo, ho scelto di impegnarmi personalmente in un’associazione di volontariato che ha una storia lunga e preziosa: nata nel 1999 AVAP (Associazione Volontari Ammalati Psichici) è una realtà modesta e semplice, che ha mantenuto intatto nel tempo, con sforzi costanti, lo spirito originario di aiutare e sostenere le persone che si trovano a vivere un momento di sofferenza mentale. Oggi, come allora, i fondatori dell’associazione sono ancora in prima linea e la loro dedizione mi stupisce ad ogni nostro incontro non solo per la competenza e l’energia, ma per la straordinaria costanza e gentilezza con cui si dedicano a chi, spesso, viene dimenticato o messo ai margini.
Essere parte di questa realtà è per me un onore e mi permette di osservare con i miei occhi come la gentilezza possa essere un atto di resistenza, oltre che un gesto che cura. In un mondo che corre, che spesso separa, che a volte stigmatizza chi vive la sofferenza psichica, c’è chi sceglie di restare, di esserci, di accompagnare con un sorriso, con una parola, con disponibilità, con la semplice ma importante presenza.
È proprio lì che la Psicologia Positiva trova piena espressione: non nei proclami o nei libri, ma nelle relazioni quotidiane, nei piccoli gesti che costruiscono fiducia, generosità, appartenenza e speranza.
Nel mio cammino professionale e personale questa esperienza mi ricorda ogni giorno che la gentilezza non è debolezza, ma forza potente e trasformativa. Il volontariato non è solo un dono per gli altri, ma anche per noi stessi e che la vera trasformazione, quella che cambia le vite, passa spesso da mani silenziose che si tendono con rispetto e discrezione verso chi è più fragile.
Ciò che molti chiamano “gli ultimi”, in realtà, ci mostrano quanto siamo tutti, profondamente, umani e di come, nella reciprocità della gentilezza, possiamo ritrovare un senso più pieno del nostro essere al mondo.
Perché forse, come suggeriscono Peterson e Seligman, la vera “cura” non è solo quella che ripara le fratture, ma quella che coltiva le forze, riconosce il valore, e nutre il potenziale umano anche, e soprattutto, laddove il dolore sembra parlare più forte.


