
La Costituzione dei poveri
I renitenti e i disertori che pagano un prezzo per la loro libertà di coscienza sono gli eroi della pace. Scandalo? Ma è la guerra il primo scandalo.
È la frase di quarta di copertina di un libro intenso e importante, che ha in sé traiettorie di vita diverse ma pensieri e interrogativi simili. Che parte dalla consapevolezza del mondo com’è e della violenza che lo scuote e che arriva a immaginare come potrebbe e come dovrebbe essere, più giusto e fraterno. Si intitola La Costituzione dei poveri (Castelvecchi editore) e lo hanno scritto insieme, in quello che risulta essere un dialogo, don Virginio Colmegna e Gustavo Zagrebelsky.
Don Colmegna, 80 anni e una storia di impegno per gli altri, oltre un decennio in una comunità di persone uscite dai manicomi grazie alla legge Basaglia e direttore della Casa della Carità di Milano per più di vent’anni.
Zagrebelsky, 82 anni, giudice costituzionale per dieci anni, presidente della Corte costituzionale nel 2004, docente universitario e membro dell’Accademia delle Scienze di Torino.

Autori che ha presentato bene, citando due episodi, Daniela Padoan, curatrice del libro, in un incontro organizzato dalla Caritas ambrosiana.
Don Colmegna: «A Milano, nel 2005, in un 27 dicembre pieno di neve, con un grande cappello nero a falde e un megafono, durante uno sgombero di un gruppo di migranti gridava le parole dell’articolo 10 della Costituzione: lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo».
Zagrebelsky: «Ha vissuto per nove anni nel palazzo della Consulta in piazza del Quirinale e gli capitava di alzarsi di notte e uscire dalla foresteria in pigiama per andare ancora una volta a esaminare un testo oppure un codice perché, diceva, le leggi hanno conseguenze pesanti sulla vita degli uomini».
La presentazione del libro alla Caritas Ambrosiana. Da sinistra, don Virginio Colmegna, Daniela Padoan, Gustavo Zagrebelsky
La Costituzione dei poveri è un dialogo venato di umorismo e di speranza, tra due voci che hanno vissuto il Novecento e quegli anni Settanta «che dovremmo imparare a rivalutare» ha detto Padoan «nella messa in discussione del potere. Nella possibilità di destrutturare, di ripensare, di fare passi che entrambi chiamano rivoluzionari». La parola rivoluzione emerge parecchie volte nel libro. «Sono gli anni che hanno fatto sì che la legge Basaglia chiudesse i manicomi, sono gli anni in cui si è pensato che l’educazione e l’istruzione fossero talmente necessarie da instaurare le 150 ore per gli operai perché potessero avere la licenza media».
Nel libro Virginio Colmegna e Gustavo Zagrebelsky danno vita a un confronto che parte da parole (parecchio dimenticate) come pace, carità, rivoluzione. E si snoda su temi come migrazioni, istruzione, sanità, carceri, guerre. Obiettivo: contrastare le tendenze politiche più feroci e restituire alla Costituzione la sua funzione di casa comune.

Insieme, ragionano di una possibile alleanza tra laici e credenti attorno alla questione della giustizia. La Costituzione è davvero uno scudo per i più deboli o protegge soprattutto i potenti? «Da che parte nella mia vita mi sono collocato, dalla parte di chi ha la forza o dalla parte invece di chi ha maggior bisogno di giustizia?» si chiede Zagrebelsky. E poi, insieme, si interrogano su come riscoprire i principi evangelici che la attraversano, al punto che, se venisse attuata fino in fondo, avremmo una Costituzione dei poveri, dei non rappresentati, degli esclusi dalla democrazia.
Perché la carità è parola più cristiana che laica ma serve a poco se non si traduce in giustizia. Così come la giustizia, a sua volta, non esisterebbe senza la carità, da intendere come valore anche politico, oltre che spirituale. Come assunzione di una responsabilità nei confronti degli altri.
Il volume, «in bilico tra Costituzione e Vangelo» scrive Daniela Padoan nell’introduzione «è una partitura, un doppio movimento musicale: il giurista e il prete di strada, la Costituzione e il Vangelo, il Palazzo della Consulta e la Casa della Carità». Lavoro di due “rivoluzionari” con un obiettivo comune: dare a tutti, uomini e donne, diritti, dignità e voce.
Sì, proprio rivoluzionari.
Scrivono gli autori in conclusione del libro:
Colmegna: «Ci vuole una rivoluzione culturale che abbia il gusto della pace, per evitare che le parole siano intrise di violenza».
Zagrebelsky: «Senza violenza, ma con molta coscienza. D’accordo, adesso ci armiamo e facciamo la rivoluzione».
Colmegna: «Assolutamente sì».
Zagrebelsky: «Evviva, evviva».
Colmegna: «Andiamo. Non su Marte, però andiamo».
Zagrebelsky: «No, non su Marte. La facciamo qui, la rivoluzione».

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