La democrazia gerontocratica
Vien da pensare che la grande crisi delle democrazie sia una questione di efficienza. La democrazia, con i suoi tempi obbligati dai sistemi di garanzia, dalla complessità decisionale della politica che passa poi tra le sgrinfie della burocrazia; la giustizia che deve garantire la tutela dei diritti sia della vittima, sia del carnefice. Eppoi, un elettorato quasi sempre diviso in due parti circa equivalenti… quindi si va da una paralisi legislativa a quella seguente anche se con vessilli diversi sullo scranno più alto.
Invece, guarda i cosiddetti regimi autocratici che meraviglia! Qualcuno decide cosa va bene e cosa no, e tutto fila liscio e rapido. Appunto, una moltiplicazione d’efficienza. Altro che limite al numero di mandati. Prendi Putin per esempio. Il prossimo 17 marzo vincerà alla grande la sua quinta designazione al mandato presidenziale: per altri sei anni. Trent’anni con un padrone assoluto, tra qualche dose di polonio, decine di giornalisti ostili sparati, amici traditori che si sono sentiti male proprio mentre erano affacciati alla finestra, oppositori in Siberia… il tutto con la benedizione di Cirillo I, Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie.
E Kim Jong-un? Il dittatore nordcoreano lo dice esplicitamente quale sia il metodo che sceglie per governare: «Faccio come credo sia meglio per me» una chiarezza spettacolare.
Nel suo paese è reato indossare i blue jeans; guardare film occidentali: pena di morte per chi li importa, ma ‘solo’ 15 anni di carcere a chi è sorpreso guardarli. Impossibile dare al proprio figlio il nome del sommo leader; si può ascoltare solo musica autorizzata ma puoi scegliere liberamente il tuo taglio di capelli tra 28 acconciature indicate dallo stato. Sarà ancora lo stato a decidere quale sarà il tuo mestiere sulla base delle necessità generali.
I casi citati non sono poi così lontani dal nostro vissuto occidentale, se pensiamo che il candidato presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, considera i due figuri nominati amici della sua prossima (?!) amministrazione.
Ora, l’abbiamo messa un po’ sul ridicolo, ma guardiamo bene davanti a noi e scopriremo che siamo nell’anno più elettorale di sempre: la maggioranza della popolazione mondiale nei prossimi mesi andrà alle urne. Dopo Argentina (con risultati comici e per questo allarmanti), Taiwan (con risultati civili e per questo allarmanti), seguirà India, Russia, Unione Europea, Stati Uniti e altri minori. Il comune denominatore di tutte le consultazioni è la contrapposizione tra la democrazia basata sullo Stato di Diritto, e populismo fondato su semplificazioni spesso puerili e sul disprezzo del sistema democratico considerato corrotto, decadente, burocratico, finito.
Qui stiamo ragionando con una angolatura stretta di osservazione del mondo, tuttavia, sembra evidente che i problemi più scottanti della democrazia, la nostra per esempio, non siano le braccia tese di tragicomici nostalgici, o le spericolate alleanze di un Matteo Salvini indaffarato a salvare se stesso. Forse lo stallo della democrazia è dovuto proprio alla sua astenia creativa che fa pari con la sua maniera conservativa di buone maniere legnose e sterili.
E’ come se la democrazia considerasse lo scorrere del tempo in una sola direzione, quella lineare, orizzontale, avanzante dal suo inizio verso… la sua fine. Ma, come nelle nostre vite individuali, il tempo scorre anche in verticale, in profondità e in elevazione. Ed è in questa dinamica, alto basso, che arde la passione, l’entusiasmo, la fiducia nel cambiamento, la creatività, il coraggio che segna intimamente le nostre vite accendendole di colori sempre nuovi.
Se ascolto le figure politiche che sicuramente voterò alle prossime europee, sento cose condivisibili ma non scorgo nuove visioni che mi sembrano necessarie e urgenti non solo per salvare la democrazia, ma il mondo intero: in fiamme per le armi e per il riscaldamento climatico.
Possiamo avere il coraggio di immaginare e volere ardentemente un mondo nuovo, molto, molto diverso da questo, più sano, più giusto, più umano e magari con un modello democratico 2.0?
Sennò ci resta solo, come dice Michele Serra, che alle prossime elezioni americane «Faremo un tifo disperato per Joe Biden. Ma ci toccherà anche fare un tifo disperato per il suo cardiologo, il suo urologo, il suo neurologo e, da come cammina, anche il suo osteopata».
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