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La prima donna italiana “con le ali”

Tempo di lettura: 4 minuti

A chi intitolare l’aeroporto di Malpensa? Dopo la dichiarazione del leader della Lega Salvini è tutto un fiorire di proposte.

Tra le persone veramente meritevoli di tale intitolazione potrebbero esserci due tra le prime aviatrici italiane. Sono donne che hanno rotto il tetto di cristallo e che hanno aperto la strada alle giovani che intendevano lavorare nel settore dell’aeronautica.

La prima fu Rosina Ferrario, milanese, nata il 28 luglio 1888, di famiglia borghese. Dopo il liceo Parini diventa l’interprete di una forma di femminismo che si cimenta con attività ritenute maschili: pratica il ciclismo e l’automobilismo e poi vuole pilotare un aereo. Trova un impiego per essere indipendente dalla famiglia, ma ciò che persegue e fa, è prendere il brevetto di volo il 3 gennaio 1913 pilotando un monoplano Caproni.

È la prima donna in Italia a ottenere il brevetto e l’ottava nel mondo. E dire che al suo primo decollo il velivolo si era impennato ed era ricaduto distruggendosi. Rosina, rimasta incolume, se la cavò dicendo che era la prima forte emozione che le dava l’aviazione.

La patente aeronautica di Rosina Ferrario

Nonostante il parere del maggiore Carlo Piazza che felicitandosi per il brevetto, le scrisse «preferirei saperla più mamma che aviatrice!», Rosina partecipa a varie manifestazioni e diventa nota nel Paese. I napoletani la ricordano, ad esempio, per aver lanciato dal cielo garofani sulla loro città.

Vorrebbe diventare un’aviatrice professionista, ma arriva la Grande Guerra. Vorrebbe anche essere utile e si rende disponibile per pilotare velivoli della Croce Rossa per portare soccorso ai militari feriti.  La sua domanda viene respinta perché donna.

Non si arrende: inoltra istanza al corso di perfezionamento per volontari piloti e si rivolge al ministro della Guerra per essere integrata nel corpo aeronautico.

Riceve ancora una risposta negativa: il Ministero spiega, che «non è previsto l’arruolamento di signorine nel Regio Esercito». Con il dopoguerra termina l’attività di volo di Rosina. Si dedica alla famiglia, non per far felice il maggiore Piazza, immaginiamo, ma pare perché il mondo dell’aeronautica era cambiato troppo: era molto diverso da quello che la aveva attratta.

Muore nel 1962 nel silenzio ed è sepolta a Sesto S. Giovanni. Solo nel 2023 il suo nome viene iscritto nel famedio del Cimitero monumentale di Milano.

Un’altra tra le prime aviatrici è Olga Biglieri, nata a Mortara (Pv) nel 1915. Aveva una particolarità: non era solo una appassionata di volo, era anche una pittrice. Nel 1933 aveva preso il brevetto sia per il volo a vela sia per quello a motore.

Aveva 18 anni e ne erano trascorsi 20 dal brevetto di Rosina Ferrario. Olga aveva frequentato anche l’Accademia di Brera. E nelle sue opere aveva saputo condensare le sensazioni del volo, che solo da pilota poteva provare; solo in volo poteva fondersi con l’aria: «Quando ero su nel cielo, non avevo più un corpo, ero uno spirito». I suoi quadri sono tutti dedicati all’esperienza del pilotare. Li firmava con un nome d’arte: Barbara.

Il futurista Filippo Marinetti, vedendone uno (Vomito dall’aereo), esposto in vetrina da un corniciaio milanese, volle conoscerla. Gli sembrava incarnasse l’aeropittura futurista; la invitò alla XXI Biennale d’arte di Venezia (1938) e alla Quadriennale di Roma e la presentò così: «Sono lieto di dichiarare che la signorina Barbara è una aeropittrice geniale e che con quadri importanti ha partecipato alla ultima Biennale veneziana. […] Ho molta fiducia nel suo ingegno pittorico».

Due dipinti di Olga Biglieri

Questo, nonostante lo stesso Marinetti avesse nel suo Manifesto del futurismo (1909) dichiarato che la donna era concepita come “serbatoio d’amore, donna veleno, donna ninnolo tragico, donna fragile”. Doveva aver cambiato idea o come dice la Biglieri forse faceva comodo la sua figura di aviatrice. In ogni caso, Barbara/Olga entrò nel circuito dell’importante movimento di avanguardia italiano. Sposò anche il poeta-giornalista Ignazio Scurto, futurista anch’egli.

La seconda guerra mondiale. Ciò che non condivise con Marinetti e i futuristi fu la convinzione della “guerra sola igiene del mondo”. Olga era antibellicista. E lo diventò ancor più dopo che il marito, durante la Seconda guerra mondiale, fu inviato prima in Francia poi in Russia. Missioni da cui tornò minato nel fisico e nello spirito.

A lei toccò sostenere la famiglia abbandonando la sua arte (l’ultimo quadro significativamente è una battaglia nei cieli con un velivolo che precipita) per scrivere novelle rosa subito retribuite.

E, qualche anno dopo, alla morte del marito, dovette inventarsi un lavoro: collaborò con vari settimanali specializzati, scrivendo di moda. Di come abbigliarsi parlava anche nella trasmissione radiofonica Stella Polare. Diventò un riferimento anche per il settore moda italiano. Creò una società di comunicazione la Tele Express e un premio legato alla formazione professionale, le Trame d’Oro.

Negli anni Sessanta ritornò all’attività artistica con performances e murales. Questo la avvicinò ad alcuni giovani artisti. Scrisse un’autobiografia, Barbara a colori,dove, accanto alla storia della sua vita, raccontava dei viaggi in Unione Sovietica, Cuba, Giappone e Canada.

Nel 1981 Barbara/Olga tenne un laboratorio di pittura per bambini. Da questa esperienza, grazie alla pacifista giapponese Machiyo Kurowama, nacque l’idea dell’Albero della Pace, una grande tela di dieci metri, dove premi Nobel, intellettuali italiani, superstiti del disastro nucleare e persone comuni lasciarono l’impronta colorata della loro mano.

Tra le impronte quelle di Sandro Pertini, Enrico Berlinguer e del premio Nobel Rita Levi Montalcini. Dal 1986 l’opera è al Museo della Pace di Hiroshima. Nel 2000, due anni prima della sua morte, alcune istituzioni italiane e giapponesi la candidarono al Nobel per la pace.

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